LIBRI > Un teatro che mi sprofondi nei sogni: Marco Martinelli
La prima volta che ho incontrato Marco Martinelli avevo poco più di diciotto anni, mi trovavo in cima a uno scalone di marmo, al terzo piano del Liceo Classico Dante Alighieri di Ravenna. Eravamo tutti lì, uomini e uccelli, Dei e poeti, adolescenti e guide. Eravamo alla non-scuola in attesa di debuttare con la riscrittura di Martinelli degli Uccelli di Aristofane.
Marco arrivò, fece qualche sorriso, si rimboccò le maniche e ricalibrò in una settimana tutto il lavoro di tre mesi di laboratorio. Fa uno strano effetto, per chi scrive, ripercorrere a distanza di anni la vicenda biografica del regista-drammaturgo ravennate, grazie al bel volumetto monografico a lui dedicato uscito qualche mese fa per Editoria & Spettacolo (Collana ideAzioni, a cura di Francesca Montanino). Nella lunga intervista che apre il libro, si affrontano alcuni momenti fondanti della biografia di Martinelli e del Teatro delle Albe: i primi esperimenti di teatro di strada, la conferenza del 1987 che sosteneva l’africanità del suolo romagnolo, la nascita «in bicicletta»della non-scuola correndo insieme a Maurizio Lupinelli da una scuola all’altra della città. Il volume rispecchia nel formato gli storici “Castoro cinema”, la conversazione è fluida, s’inerpica al ritmo delle folgorazioni del pensiero dell’intervistato: dal concetto di «autore di compagnia» («nella storia del teatro si parla solo dei “padri”, gli autori, in realtà ci sono anche la “madri”, gli attori. L’esito è una creazione originale assoluta: il Dottor Merletto, personaggio di Salmagundi, è una marionetta di carne e ossa di cui sia io che l’attore Alessandro Renda, teniamo i fili vitali»), all’evocazione dei maestri, da Elsa Morante a Giordano Bruno fino ai Fratelli Marx e Totò.
La seconda volta che incontrai Marco Martinelli ero invece a Bologna, in un seminario al teatro gestito allora da Leo De Berardinis. Quella fu anche la prima volta che conobbi Daura, o Rosvita, o Condolcezza: ebbi l’ardore di sbucciare un’arancia in sala, ignaro dell’allergia di Ermanna. Per anni, così come per Marco ero semplicemente l’Augusto degli Uccelli, per Ermanna sarei rimasto “Il ragazzo dell’arancia”. C'erano Totò, Ninetto, Laura Betti, Franco e Ciccio, Modugno, tutti insieme sul video. Marco e Ermanna ci facevano vedere Che cosa sono le nuvole? di Pasolini. I maestri, appunto.
Uno sguardo più marcatamente critico viene recuperato nella seconda parte del volume: dopo i due interventi di Goffedo Fofi e Eugenio Barba, compare l’acuto saggio di Gerardo Guccini («Marco Martinelli autore e il multidramma delle albe»), che ricolloca la scrittura del regista e drammaturgo nel più ampio contesto di rimozione storiografica che ha subito il teatro italiano degli '80 e rileva il carattere di «maschera dell’arte» dell’attore di Martinelli, che «è il personaggio e ne porta il nome sempre, sia che interagisca con l’antagonista scenico sia che, sporgendo dal mondo diegetico, si rivolga agli spettatori [...]».
Conclude questo Marco Martinelli un progetto cinematografico per ora rimasto a livello di sceneggiatura: Lezione di storia, un film ultralocale. Nella Romagna ottocentesca di insurrezioni anarchiche e maghe, la bambina Armida ripercorre allo specchio la sua vita passata: lo scandalo della madre dissotterrata dal prete, le lotte dei compagni Lito e Piompo, le guarigioni con erbe miracolose: «a me sembra di svegliarmi non quando mi sveglio, ma al contrario, proprio nel momento in cui i miei occhi si chiudono». Così si chiude il libro. É Armida o Martinelli a sognare?
Marco Martinelli l’ho poi incontrato altre innumerevoli volte. L’ultima, qualche giorno fa, al termine della lettura del libro. Ora navigo tra laboratori, corrispondenze, corse agli spettacoli, scritture precarie, perdite momentanee di senso, e ripenso a una frase di questo volume: «La politicità non è una moda, [...]. É una fiamma che ti riscalda fin da quando, adolescente, prendi coscienza di come è brutto il mondo. Che va raddrizzato. Che è impossibile raddrizzarlo, ma niente come l’impossibile esalta e mette a nudo la forza del desiderio. La forza delle tue azioni, non delle tue chiacchiere».
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