RECENSIONI > Mangia e bevi con il Teatro delle Ariette
Sarebbe finita a tarallucci e vino se i due attori e fondatori di Teatro delle Ariette fossero stati toscani, invece vengono dall’Emilia in fiore coi suoi prodotti locali: tigelle e lambrusco. Scendono in bicicletta, attraversando odorosi campi di grano o, quando fa freddo, abbacinanti vallate ricoperte di neve, «così bianche – dice Pasqui, il personaggio maschile - che non distingui cielo e terra e senti un vuoto silenzio di pace».
Sono arrivati a Bagnolo, dimesso paesino a pochi minuti da Prato, con DANS MA MAISON, Episodio 2 – Italie, per aprire il festival con la loro “boîte”, una scatola di legno alta circa cinque metri che si apre a scomparti e dove si nasconde un pollaio - la rete a larghe maglie lo suggerisce; c’è anche un coniglio, due… no, un momento, il pollaio è solo il primo piano che si raggiunge con due scale a pioli, sotto ci sono loro, i due attori, su un tappeto di paglia che nasconde botole dove attingere acqua, o soffiano spruzzi d’aria che solleva fieno.
Piove come in un impianto d’irrigazione e nevica farina in questa stanza che non ha più pareti - come canta la coppia di sposi, nello spettacolo come nella vita – e intanto si impastano le tigelle per i vicini, cioè il pubblico. Pareti invisibili di una scatola scenica ideata da Christophe Piret - fondatore di Théâtre de Chambre, compagnia francese affine alle Ariette – che diventa contenitore di immagini, persone, intimità, suoni e odori.
Stiamo a guardare, partecipiamo di quei semplici gesti quotidiani, di quelle tenerezze e di quella saggezza popolare dispensata in battute semplici ma di sconfinata bellezza. Eppure c’è tanta amarezza in tutto questo, ci accorgiamo di aver perduto un senso dell’essere e del vivere che è come arare, seminare, tagliare il legno. Il loro teatro, insomma.
Alla fine vengono offerte le tigelle ancora calde, del buon vino, formaggi e salumi, cose semplici, e ci si scopre a parlare col vicino di posto… piccole sane e perdute abitudini quotidiane.
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