La casa mista franco emiliana delle Ariette-Chambre è un container in verticale che tanto sa di casse da immigrato. Una macchineria futurista, dal sapore comunque rurale e companatico, che ricorda gli aggeggi metallurgici della Fura dels Baus, un po’ tecnologica, un po’ navicella spaziale, il tutto ricoperto da una rete da polli. Oppure è la casa di Hansel e Gretel, una torre di Babele claustrofobia, una palafitta o meglio la casa sull’albero di Huckberry Finn, una, comune normale quotidiana, prigione senza sbarre. Il luogo scelto non è dei più caratteristici. Ci ricordavamo splendidi panorami pratesi affiancati alle atmosfere, un po’ ripetitive ma sempre decorosamente naif, del gruppo dei contadini attori del famoso podere sopra Bologna. Nel 2003 c’era il Cassero improvvisamente divenuto siepe leopardiana, nel ’05 la splendida radura immersa nel verde con tanto di scarpinata incolonnata come formiche per raggiungere il luogo prescelto tra la colonica, i covi di paglia e Pasolini. Quest’anno Contemporanea poteva pensare a qualcosa di più suggestivo invece che la palestra cementificata di Montemurlo. Mura spesse, fuori piove e non sembra quasi giugno. Sempre fuori: un circolo con il suo bar zoo di giocatori di biliardino, flipper e mangiasoldi, gelati leccati, chi gioca a beach volley e chi a calcetto. Sarebbe bello riuscire a portare a “teatro” questo tipo di persone oppure, visto che siamo a Prato e provincia, tentare (sarebbe una new entry in tanti anni di frequentazione di Metastasio, Fabbricone, e Contemporanea) a vedere o solamente scorgere un cinese, un qualcuno con gli occhi a mandorla e la faccia da orientale. Prima o poi ce la faranno i “nostri” amministratori a precettarne uno e toglierlo al telaio per un’ora? Dentro il palazzetto, fa decisamente freddo, uno scaleo a reggere una cortina di lampadine (tristi), un canestro da basket che messo in un angolo dà ancora più rimostranza di sé. Lo spunto degli “ingegneri” francesi con i contadini rinchiusi (il Grande Fratello non c’entra) è anche interessante. Sondare e indagare sul concetto di Casa e Famiglia. Il sentirsi dentro, accettati, facente parte di qualcosa più grande di noi. La piastra intanto cuoce le tigelle appena fatte a mano con lo stampo di un bicchiere da vino rovesciato. “Spesso le nostre case sono lontano da casa nostra, anche a casa nostra”. E giù a pensare. E l’odore del pane passa di naso in naso, di bocca in bocca. In alto due poveri conigli non capiscono. Come potrebbero, neanche noi capiamo che cosa ci fanno. Le Ariette comunque tornano all’antico, ed è già una buona nuova dopo la debacle di Bestie a Volterra. Anche quest’anno saranno nel cartellone di Punzo con E’ finito il tempo delle lacrime. Gran soirèe prediluviana dal 23 al 29 luglio con una grande installazione fantastica tra fiera paesana felliniana, con tanto di mercatino delle meraviglie, zoo sentimentale e ruota della fortuna. Con Dans ma maison i rustici declamatori tornano a fare quello che gli riesce meglio: parlare di agricoltura, colture, il tutto insaponato a doppia mandata a sentimenti (a volte sentimentalismi). Ormai le emozioni, rispetto alle prime apparizioni (Teatro di terra e Teatro da mangiare), date dall’innovazione e dall’originalità si contano sulle dita di una mano. Stefano Pasquini che disteso sull’asse la ruota intorno al pilone centrale spingendosi con le gambe al soffitto, o la traversata (conclusiva) su una bicicletta-cyclette dinamo (sembrano la gloriosa coppia Carlo Monni e Roberto Benigni in Berlinguer ti voglio bene quando Bozzone declama “Noi siamo quella razza”) con Paola in versione erotica bambolina carillon, diva clown e vamp pagliaccio sciantosa in canna e la farina che nevica e cola dall’alto ad inzupparli come fantasmi. Racconti di vita quotidiana dei campi e di vita privata, in francese maccheronico, gli aneddoti, quasi biblici, tra pecore e grano. Semplicità e buoni sentimenti. Forse buonismo. Sole, farina e lacrime e sorrisi. Poi parte Romagna mia e li riconosciamo, l’Internazionale appena accennata, mentre il Cielo in una stanza ci coglie impreparati. Poi finalmente l’abbuffata finale di affettati, vino rosso (pesantissimo). E naturalmente le tigelle. E il teatro?
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