Siamo al Convito, un locale dallo stile minimal-chic che sfama il festival e decide di non farci entrare dalla porta principale ma dalle retrovie, come a cercare di proteggersi da qualcosa che sta inevitabilmente accadendo. Siamo all’aperto, con l’umidità accumulata in giorni di incessante pioggia che non lascia scampo. Il vociferare resta pacato e composto e la trippa fredda e inerme che ti ritrovi nel piatto ti costringe a bere l’ennesimo bicchiere di vino.
All’improvviso la voce di “Roberto di Reggimento Carri”, così si presenta il vulcanico Corradino, attira l’attenzione un po’ insonnolita e irrigidita dal freddo, annunciando a tutti i presenti la volontà di riunirsi attorno al tavolo, che nemmeno a farlo apposta è rotondo, «per creare un momento di incontro e dibattito tra gli artisti».
«Cosa vuol dire essere “emergenti”? Quali sono i nostri circuiti e le nostre idee? Proviamo a conoscerci».
Dagli sguardi di stupore, si percepisce che confrontarsi non è esercizio scontato. Tutto l’alveare al completo, assente giustificato Tagliarini. L’istrionico moderatore-aizzatore Corradino lancia alcune suggestioni che attraversano le tematiche delle linee: «Come mai ricorre in molti dei lavori l’aspetto della morte? Come lavora ciascuno di noi sui propri linguaggi, sulla drammaturgia?».
Si fatica a rispondere. Risalgono in superficie altri temi, forse più urgenti, e la tavola rotonda si riscalda. Snejanka Mihaylova, con una voce che si percepisce appena, “grida” il suo malessere: rinnega la scelta del racconto e si domanda «che cosa sta accadendo all’Officina al di là dello spazio in cui ognuno è rinchiuso? Sento un disagio di relazione con il pubblico».
«Esiste la possibilità che queste undici schegge di lavoro siano parte di un’opera che qualcuno ha in mente? Di quale opera si tratta?», rilancia energicamente Silvia Pasello. Per un momento è silenzio, guardiamo tutti il direttore del festival che per udire le parole di Snejanka è entrato nel “cerchio”. Non coglie o non vuole. Corradino ribatte che forse l’opera che è stata creata in questo festival è proprio la possibilità di incontro, non sempre scontato, tra questi giovani artisti, di solito isolati. Qualcuno si chiede come rapportarsi con il mercato e con le vetrine che cercano emergenti da esibire. Il direttore, Donatini, a questo punto non resiste. Invita, quasi con una tirata d’orecchie, a eliminare alcune parole che «non rispecchiano l’intenzione del festival, quali: vetrina, prodotto, lavoro concluso e generazionale».
Contemporanea prova a creare uno spazio di libertà e rischio creativo, lasciando ai gruppi la possibilità di mettersi in gioco. Il freddo e la notte avanzano. Ci diamo appuntamento all’Alveare-off lunedì 4 giugno per un aperitivo alle 12, per riprendere e allargare una discussione appena agli inizi.