Il progetto di ricerca che Cosmesi porta avanti dal 2001 ha tratti singolari rispetto ai giovani gruppi. Si tratta, infatti, di un percorso artistico che trascende inizialmente la produzione di spettacoli a favore di un’indagine sull’espressività visiva e sulla creazione di architetture. Procediamo con ordine e ripercorriamo con Eva Geatti gli esordi e le prime “avvisaglie” di Cosmesi.
Com’è stato il tuo incontro con il teatro?
Ho iniziato a fare teatro alle scuole superiori, ero incuriosita dall’aspetto performativo, ho sempre preferito l’immagine al testo, come punto di riferimento da cui partire. Nel 2000 ho partecipato a un laboratorio di Motus; in quel periodo stava nascendo il progetto Rooms, che prevedeva, tra le tante cose, la scoperta del rapporto tra uomo e ambiente, attraverso la creazioni di semplici situazioni come uomo-lampada, uomo-sedia. In Twin Rooms (2002) non parlavo e ne ho approfittato per fare un percorso personale sul mio atteggiamento in scena: infatti fino a ora non ho mai parlato a lungo nei miei spettacoli pur non essendo una danzatrice e nemmeno un’attrice. Mi è servito per capire che il mio interesse è rivolto verso l’espressività visiva. Dopo l’esperienza di Motus ho incontrato il lavoro di Masque teatro. Per due anni ho lavorato con loro, il lavoro attoriale veniva indagato e approfondito, ma le produzioni di spettacoli erano poche e raccontavano solo in parte tutto il gran lavoro che loro fanno.
Cosmesi nasce come progetto di ricerca. Quali sono i presupposti del vostro lavoro?
Ho conosciuto Nicola mentre frequentava l’Accademia e mi ha affascinato il suo mondo, parallelo e fatto di cose che costruiva da solo. L’aspetto che mi più mi incuriosisce e mi ha fatto avvicinare a lui è lo scoprire e capire il manufatto, inteso come qualcosa che l’uomo produce; da qui è nato progetto Cosmesi con l’intento di creare architetture. Partivamo dal presupposto che il luogo dato “teatro”, formato da quinte e palchi, non è per forza teatro. Modificare una cosa che esiste già, è solo una modifica. Dare forma a un architettura che contiene un mondo parallelo con tutte le sue regole interne. In Avvisaglie di un cedimento strutturale il pavimento era inclinato, fatto di mattonelle di maiolica bianche con le pareti di polistirolo. Questo spazio mi metteva in una condizione di impedimento, dovevo costringere in una certa misura il mio corpo a non fare certi gesti. Questa situazione di limite abbiamo iniziato a chiamarla “protoregia”, intendendo con questo termine il dispositivo scenico che dirige la performance creando una figuralità, che secondo noi è diversa rispetto a situazioni non-limite.
È possibile parlare di autoreferenzialità rispetto alle immagini che volete far arrivare al pubblico?
Siamo autoreferenziali nella misura in cui non appena leggiamo o vediamo una cosa la facciamo diventare nostra, ma da lì parte altro. Cerchiamo un teatro che racconta senza per forza un racconto, mi interessa la forma narrante nell’oggetto, quello che può riuscire a dire, come può essere per un corpo solo in uno spazio vuoto che in sé contiene già un racconto.
Come vivi la solitudine in scena?
Un segreto, forse a Santarcangelo non sarò da sola in scena, dipenderà molto da come sarà la scena che stiamo completando; solo quando sarà finita capiremo se inserire una seconda presenza. Normalmente preferisco lavorare da sola, sono molto pignola, e “usare un altro corpo” mi sembra molto difficile, perché è la mia idea che deve entrare in un altro corpo, la deve interpretarla e agire. Non perché la mia idea è inaccessibile e inviolabile ma perché è mia ed è tramite il mio corpo che la conosce bene e l’ha prodotta che si può arricchire e diventare così come l’avevo immaginata.
Che cosa succede nei confronti del pubblico durante i vostri spettacoli?
In Mi spengo in assenza di mezzi c’era in maniera dichiarata la volontà di raccontare al pubblico un disagio. Abbiamo giocato a renderlo partecipe e non solo spettatore di quello che stavamo provando in quel momento nei confronti del teatro, inteso come istituzione che ci ospita. Quindi per mettere a disagio chi era in platea abbiamo usato un elemento che molto spesso ricorda una paura, come quella del buio.
Che cosa succede in Cumulonembi alla mia porta?
Quello che voglio raccontare è l’immagine di una donna che progetta e sogna di morire in un modo epico e alla fine muore in un modo che è stupido, banale. I pochi minuti mi permettono di mostrare una situazione connotandola con gesti e posizioni che non lasciano scampo ad altre interpretazioni. Inizialmente lo spazio doveva essere una casa di plexiglas che si riempiva e si svuotava molto velocemente di fumo, creando due situazioni, quella all’interno della casa in assenza e in presenza di fumo e quella del pubblico che fuori dalla casa passava dal percepire il fumo all’interno della scatola per poi ritrovarsi a respirarlo. Ci siamo resi conto che non potevamo permetterci economicamente questa scena e abbiamo pensato a lungo un altro luogo. La soluzione è arrivata dall’Audi di mio nonno che non ha mai fatto molti chilometri e in questi giorni accoglie un suicidio.
Il prossimo lavoro sarà a Santarcangelo dei Teatri, di cosa si tratta?
Ilavoro che stiamo preparando si chiama Lo sfarzo nella tempesta. È un’indagine sull’energia, su quella che l’uomo spreca tutti i giorni. Il lusso e l’agente atmosferico sono esempi di spreco, il lusso è la forma contemporanea dello spreco e il ciclone è un forte condensato di energia in un punto che si disperde in un tempo brevissimo.
Cosmesi
Eva Geatti e Nicola Toffolini creano il gruppo di ricerca Cosmesi nel 2001 con l’idea di partire dallo spazio come architettura autonoma da costruire e agire, il progetto iniziale trascendeva la mera realizzazione di spettacoli a favore di una ricerca sul luogo come struttura. Eva Geatti fa teatro fin dalle scuole superiori, si forma attraverso anni di lavoro con compagnie teatrali già affermate, con Motus nel 2000 partecipa a due spettacoli del progetto Rooms, Vacancy Room (2001) e Twins Rooms (2002). Successivamente lavora con Teatrino Clandestino, Masque teatro in Davai (2004), Teddy Bear Company e Societas Raffaello Sanzio. Nicola Toffolini è un’artista conosciuto a livello internazionale, il suo lavoro multisciplinare tocca tutti gli aspetti dell’arte. Allestisce esposizioni personali e collettive, il suo lavoro di ricerca sul teatro ha competenze in diversi ambiti artistici come il design o l’arte Ligh. Ha partecipato alle maggiori rassegne artistiche contemporanee come la Quadriennale di Roma, TECHNE 02, il 42° Premio Suzzara all’Opel and the united arts for Europe.
Solo nel 2003 il lavoro di Cosmesi arriva al teatro, con il progetto Avvisaglie di un cedimento strutturale. Bionda I interno 5 è uno studio del 2003 presentato alla rassegna ENtoPAN AL Foundry di Londra. In La corretta gestione dell’impianto realizzato nel 2005 lo spazio è disegnato a terra con la farina. Prove di condizionamento è dello stesso anno, partecipa al Premio Scenario. Il progetto iniziale prevedeva che lo spazio fosse una cella frigorifera capace di scendere a -10°, in realtà poi il mancato sussidio economico ha ridotto la scena a uno “stand” dal design anni Settanta in cui l’attrice tenta di vendere il lavoro irrealizzabile. Nel arriva, 2006 Mi spengo in assenza di mezzi spettacolo manifesto dello scontento della compagnia nei confronti degli scarsi finanziamenti al teatro: in realtà qui lo spazio c’è, è il buio, il vuoto. Nella performance La prima donna, sempre del 2006, tutto accade in pochissimo tempo, un racconto fatto di immagini e rumori assordanti che terminano nella creazione di un uovo. Cumulonembi alla mia porta presentato a Contemporanea07 è una performance compiuta, glaciale e ironica che nasce e muore all’interno di un’Audi station-wagon. In questo momento stanno lavorando a Lo sfarzo nella tempesta che verrà presentato alla 36° edizione di Santarcangelo dei Teatri, una riflessione sull’energia come spreco.
COMPAGNIE