INTERVISTE > Bianca Papafava, danza e contaminazioni
Qual è la tua formazione? Perché ti sei diplomata in Germania?
Ho iniziato a studiare danza con Simona Bucci, che utilizza la tecnica Nikolais. In questa prima esperienza ho approfondito la pulizia del gesto e i meccanismi dell’improvvisazione. Poi c’è stato l’incontro con Raffaella Giordano, che per me è stata una maestra e lo è ancora. Ne condivido la poetica di ricerca e approfondimento di tutti i risvolti della tecnica Nikolais. Contemporaneamente ho scelto di studiare in Germania alla Folkwang Hochschule di Essen, dove si è formata e ha insegnato Pina Bausch, e dove oggi i suoi allievi insegnano e portano avanti un discorso iniziato con l’espressionismo tedesco. Questo percorso durato quattro anni mi ha permesso di vivere la quotidianità del corpo e di quei luoghi. Contemporaneamente si sviluppava il mio lavoro a fianco di Raffaella Giordano, ho lavorato in alcuni suoi spettacoli e l’ho sostituita in un assolo. Poi ho insegnato a Praga, al liceo artistico di arti performative, qui sono iniziati i miei primi lavori da solista. Trampolino è un lavoro che rappresenta la mia giovinezza, in cui indossavo un vestito verde e la scena era un campo di mele. Ritornando in Italia ho lavorato ancora per un po’ con Raffaella Giordano, poi è iniziata la collaborazione con Andreas Fröba.
Mi parli di Pensieri di Deola?
Prima di tutto ci tengo a precisare che la regia di questo lavoro è di Andreas Fröba. Il punto di partenza è una poesia. Chille de la Balanza e Claudio Ascoli, in occasione del centenario della nascita di Cesare Pavese, che si terrà nel 2008, mi hanno invitata a realizzare un lavoro, partendo appunto dalla poesia Pensieri di Deola, contenuta in una raccolta di sue poesie del 1936 dal titolo Lavorare stanca. Non si tratta, chiaramente, di un lavoro filologico ma piuttosto di una restituzione di questo personaggio. La prima volta che mi ritrovai a leggere la poesia pensai che era asciutta, fredda, di una freddezza sgraziata, piena di vuoto. La freddezza e il vuoto sono stati i motori del mio lavoro. Così racconto Deola una prostituta seduta in un bar dopo una notte di lavoro. È una donna soddisfatta che si è messa in proprio, è matura e non ha più bisogno di niente, ora può scegliere da sola. In questo stato di vuoto, inteso in senso positivo, beve un bicchier di latte. Un gesto semplice che si carica di significati; il latte con la sua pastosità e fluidità acquista un valore arcaico e quindi anche un riferimento alla suzione infantile. Il contrasto tra il personaggio di Deola e il bianco candore del latte è il fulcro, da questo momento il latte le scivola dentro e lei stessa si lascia scivolare sotto il tavolo poi si stende a terra. Ritorna, entra nel “mondo del latte”. Nella scena in cui Deola beve e deglutisce il latte è stato molto importante il lavoro fatto con Tomasella Calvisi sul tema della gola e delle sue possibilità.
Che tipo di lavoro hai fatto con Monica Bianchi e Andreas Fröba?
Con Andreas lavoriamo sul suono e sulle luci. Cerchiamo di fare delle scelte semplici, significative ma economiche. In questo ultimo lavoro non volevamo appesantire con trucchi d’effetto lo spettacolo, ma limitarci a renderlo molto visibile. Per il suono abbiamo scelto di fare delle registrazioni di atmosfere, tra il primo mattino e l’ultima notte, all’interno di un bar. La seconda parte dei suoni ha un’eco di infanzia, una marcia funebre che assomiglia di più a una ninna nanna.
La collaborazione con Monica Bianchi si è resa indispensabile, perché durante la fase di preparazione ho scoperto che non avrei potuto essere presente a tutto il festival. Mi è servito lavorare con lei perché mi ha fatto vedere da fuori il percorso che stavamo facendo, poi è stato utilissimo sperimentare con un’altra figura un lavoro che avevo pensato su di me. Chiaramente lo spettacolo si carica di significati diversi a seconda che Deola sia interpretata da lei o da me.
Che cosa ti aveva chiesto il direttore del festival Edoardo Donatini?
A Edoardo avevo parlato io di questa creazione. Ero già stata al Festival qualche anno fa e conoscevo i tipi di lavori che può contenere l’Alveare Off. Mi sembrava che Pensieri di Deola potesse trovare la giusta dimensione in quel contesto. Partecipare era un’occasione importante al punto che, quando ho scoperto di non poterci essere per tutto il periodo del festival, l’idea di collaborare con Monica Bianchi è stata automatica.
Ritorniamo al tuo percorso, tra le esperienze di danza che conduci ci sono i laboratori nelle scuole. Che tipo di lavoro fai?
Il percorso che mi ha portato a lavorare con i bambini è, in realtà, di assoluta pertinenza e contingenza con il mio lavoro. I primi lavori che ho fatto da sola come Laica fu inserito nel teatro ragazzi, per le tematiche che trattavo come adolescenza, vita e morte. Mentre ora che lavoro con i bambini, quando sono sola in sala prove esce un lato di me più maturo e intricato che si esplica in lavori come Pensieri di Deola. Trovo che, nonostante in Italia esista un netta distinzione tra il circuito “serale” e quello per ragazzi, le due tipologie si influenzino reciprocamente.
In questa fase della mia vita l’esperienza nelle scuole con i bambini occupa uno spazio importante. Era un mondo sconosciuto per me, dove ho scoperto un ambiente fertile che contiene un’attenzione viva e particolare, mi riferisco sia ai bambini che agli insegnanti. Mi sono resa conto da subito che quello della scuola era un luogo in cui per tempi e modalità, si possono dire delle cose molto vicine al mio modo di pensare. La comunicazione con i bambini è semplice, reale, concreta e a stretto contatto con i problemi del quotidiano. grazie ai bambini ho scoperto un mio lato e una mia necessità, quella di lavorare sulle radici.
Questo lavoro, inoltre, mi permette di indagare con più semplicità il rapporto con lo sguardo. Come accogliere lo sguardo nello spazio in cui agisco? Questa è sempre stata una domanda urgente nel mio lavoro, l’incontro più umano e ravvicinato con i bambini mi ha permesso di trovare delle risposte e abbattere la “membrana” che separa chi si espone da chi guarda.
Come mai ti definiscono autrice-danzatrice?
Nel mio percorso di ricerca nella danza contemporanea ho sentito la necessità di non separare questi due aspetti. Il mio lavoro è per definizione solitario, a parte alcune eccezioni, perché non mi sento ancora pronta ad incontrare altre “persone” anche se è un mio grande desiderio. Collaboro però con alcuni gruppi di teatro per ragazzi come: TPO di Prato, il C.C.T. e il teatro all’Improvviso di Mantova.
A che cosa stai lavorando?
Il progetto su Deola non è concluso, ma vogliamo capire che forma dargli, magari per farlo crescere dal punto di vista del tempo e per presentarlo nel 2008 al centenario su Cesare Pavese. Poi in questi giorni porterò a termine i progetti con le scuole e per l’estate. Con Claudio Ascoli stiamo aprendo una nuova avventura lavorativa attorno alle poesie di Dino Campana.
Bianca Parafava nasce a Firenze, studia danza presso il Centro di Danza Contemporanea Imago Lab diretto da Simona Bucci e Emanuela Salvini, dove apprende la tecnica Nikolais. Si iscrive alla Folkwang Hochschule di Essen in Germania, parallelamente lavora con la coreografa Raffaella Giordano, affiancandola nei suoi lavori. Dopo essersi diplomata insegna a Praga al liceo di Arti performative Duncan Centre Konservator, dove presenta il primo lavoro come solista, Trampolino. Ritornata in Italia lavora con Andreas Fröba e crea spettacoli come Laica e Il canto di Circe. Inizia il lavoro nelle scuole, dove trova una necessità e una modalità di relazione nuova e stimolante. Collabora con compagnie di teatro ragazzi come: TPO di Prato, il C.C.T. e il Teatro all’Improvviso di Mantova.