[ph Ilaria Costanzo]
Un uomo anziano siede faticosamente al suo scrittoio e con metodica calma dà inizio a un rito: mangia prosciutto, si versa da bere, rovista tra alcune audiocassette ed è finalmente pronto a incontrare se stesso, ovvero la sua voce registrata anni addietro. Così appare Claudio Morganti nello spettacolo L’amara sorte di Claudio Morganti. Dieci anni fa l’artista portava in scena per la prima volta L’amara sorte del servo Gigi e quella di ieri ne è una riproposizione, alla luce della promessa di rappresentare questo lavoro con cadenza decennale. L’attore rivolge al pubblico una breve introduzione partendo dal presupposto che testo, drammaturgia e teatro siano parole usate colloquialmente come se fossero interscambiabili e allude così allo spettacolo del 2005, tratto da L’ultimo nastro di Krapp di Samuel Beckett, di cui ha mantenuto perfettamente intatta la struttura drammaturgica pur cambiando tutte le parole. Non più un magnetofono ma un registratore, la macchina del tempo con cui approdare a una presa di coscienza: «È finito quel tempo in cui tutto sembrava possibile», afferma l’anziano con tono moderatamente nostalgico, lasciando lo spettatore in balia dei nastri. Lo spettacolo è soprattutto la straordinaria presenza attorale di Claudio Morganti, abile nel trascinare il pubblico in una dimensione di incanto.
Valeria Gaveglia (laboratorio per uno spettatore critico)