Bizzarre congiunzioni, una strana ebbrezza e numerose fascinazioni per il nuovo spettacolo di Roberto Latini,
Metamorfosi scatola nera, andato in scena giovedì 29 settembre al Teatro Magnolfi di Prato per Contemporaneafestival 2016. Quel suo muoversi al contempo disinvolto e impacciato, gli abiti da clown, le musiche e le atmosfere quasi pop contrappongono forza e potenza a delicatezza e fragilità. Latini si dedica a uno scardinamento di testi noti e imponenti (Ovidio in questo caso) in cerca di suggestioni e, nel processo di ricomposizione, instaura un rapporto denso e originale col pubblico attraverso il quale sconfinare in altro. Un agire, il suo, che lascia intravedere la capacità di aver superato tutta una serie di ostacoli tipici dell’attore, ma anche del regista e dell’artista in generale, quelli legati al dovere “risolvere”, al dovere riempire di senso.
Slegata dal concetto di composizione teatrale che si espleta all’interno degli raccordi “tesi, antititesi, sintesi”, la drammaturgia di Latini sembra manifestarsi in una sintesi continua deframmentata e ricomposta, ma senza presunzione di pervenire a una soluzione. Nella sua
Metamorfosi, l'attore si presenta come un fragilissimo clown, col rossetto sbavato, un naso rosso, le orecchie di topolino, qualche parrucca colorata, la gonna corta e rossa e le scarpe lunghe e fumettistiche tipiche del pagliaccio. Così composto, seduto in ginocchio, afferra il microfono e presta la voce a Tiresia con i giochi di amplificazione tipici del suo linguaggio performativo, dilatando ogni sospiro e riempiendo di pathos ogni parola. La
mise kitsch, combinata all’effetto così enfatizzato della prosa, innesca vari richiami e fascinazioni perfino azzardate: un demiurgo folle, una rockstar, un genio, un “novello Carmelo Bene”?
Tuttavia, oltre la superficie si avverte altro. Sembra quasi che attraverso queste fratture, questi solchi, Latini si costruisca degli spazi entro cui cercare qualcosa che va al di là di ciò che vediamo e che è ignoto a lui stesso. In questo forse sta il segreto del suo lavoro: offrire a sé e al pubblico delle occasioni per sperimentare qualcosa di nuovo, di sconosciuto, di meno battuto. La magia sta nella proposta e nell'abbandonarsi a essa senza pregiudizi e preconcetti, senza cioè porre un limite al suo divenire, senza desiderio di giungere in un luogo preciso ma accogliendo la sorpresa di ciò che accade, se accade, senza per forza conseguire un risultato. Ciò “che può accadere” è ciò che più si avvicina al concetto di teatro, come lo abbiamo sentito definire in questi giorni anche da Claudio Morganti nella sua perfomance/conferenza
Four Little Packages: una epifania, uno sconfinamento nell’ignoto che porta a perdersi e mettersi in gioco in spazi incerti, non ancora vissuti e acquisiti. È lì, in quella zona di confine, inesplorata e oscura che si può ancora fare teatro. Latini stesso lo aveva accennato in una recente intervista, citando una frase di Flaiano: «Il gioco è questo, cercare nel buio qualcosa che non c’è e trovarla».