Interviste, recensioni, approfondimenti, interventi dal laboratorio di giornalismo "Per uno spettatore critico", in diretta da Contemporanea Festival a Prato dal 23 settembre al 2 ottobre 2016
L'Istituto Culturale e di Documentazione Lazzerini di Prato ha ospitato sabato 1 ottobre Celebration della coreografa e performer Giorgia Nardin, realizzato in collaborazione con la tatuatrice Olivia Jacquet. Il lavoro ha debuttato nel 2014 al Museo Reina Sofia di Madrid come parte del progetto internazionale Performing Gender avviato nel 2013 in quattro nazioni europee (Italia, Olanda, Spagna e Croazia) con lo scopo di produrre coreografie incentrate sul tema dell'orientamento sessuale e di genere.
Unica performer in scena Olivia Jacquet osserva il pubblico, in piedi, nuda e ricoperta completamente da una tinta d'oro. La scenografia è minimale: un secchio pieno d'acqua, posto ai suoi piedi, e fogli bianchi che rivestono le pareti dello spazio circostante. Con movimenti lenti e controllati la Jacquet si lega i capelli, immerge nel secchio un asciugamano e rimuove poco a poco la tinta dorata, svelando un corpo ridisegnato da tatuaggi, grandi, piccoli, colorati e neri. Il gesto, all'apparenza banale e semplice, mostra e afferma l'identità della performer, che si mette a nudo con tutte le sue caratteristiche fisiche, difetti e “alterazioni”, davanti agli spettatori. E i tatuaggi riaffiorano come segni di una comunicazione non verbale dotati di un proprio, personale significato. Una volta terminata la “pulizia” del corpo, la Jacquet inizia a disegnare linee curve, rette, punti, cerchi, onde, triangoli e spirali come se i fogli ne fossero una reale estensione. In questa fase tutto il pubblico è invitato a partecipare alla creazione di immagini, disegni, simboli, lasciando a sua volta una traccia nello spazio. Stimolato da musica rap, elettronica, R 'n' B e folk rock prendiamo parte attiva nella performance ed esterniamo sentimenti, emozioni mediante un'azione che diventa al contempo terapeutica, catartica e artistica. Ridisegnare lo spazio per abbattere i pregiudizi, porre di fronte all'unicità di corpi e gesti sembra allora il messaggio che la Nardin ha voluto trasmettere con questo lavoro.
Dopo una formazione presso la Northern School of Contemporary Dance di Leeds (UK), Giorgia Nardin si è distinta nelle principali vetrine dedicate alla danza d'autore, ottenendo numerosi premi e riconoscimenti internazionali. La abbiamo incontrata prima del debutto della performance a Contemporanea Festival per porle alcune domande a proposito del suo lavoro.
Com'è nata l'idea di Celebration?
Quest'opera è nata per il progetto Performing Gender per il quale sono stata invitata, con altri coreografi internazionali, a creare installazioni per spazi museali e gallerie d'arte. La consegna data ai coreografi era creare un'installazione sulle tematiche di genere e orientamento sessuale in senso molto ampio. Ho scelto di invitare a partecipare Olivia, tatuatrice e amica, perché ero interessata alla “modificazione” e trasformazione corporea e a cosa può significare portare esteticamente e fisicamente la propria identità in scena.
In che modo nei musei e nelle gallerie d'arte lo stretto contatto con le opere esposte ha condizionato la performance nella forma, organizzazione degli spazi e durata?
Lavorare nei musei mi affascina moltissimo, come interprete e come coreografa. Nel caso specifico di Celebration, sia nel Museo Reina Sofia di Madrid che al Museo d'Arte Moderna di Bologna, abbiamo sempre scelto zone non allestite, perché questo è un requisito fondamentale del nostro lavoro: lo trattiamo come fosse esso stesso un'opera d'arte, quindi non ci siamo fatte informare e influenzare dalle opere esposte. Rispetto al contesto teatrale l'atmosfera cambia completamente, soprattutto nella relazione tra performer e pubblico: chi entra nel museo vuole vedere quadri, dipinti, sculture, è uno spettatore che “inciampa” consapevolmente o inconsapevolmente nella nostra installazione. Il pubblico ideale di Celebration è quello casuale, di passaggio, che può creare dinamiche diverse rispetto a uno spettatore consapevole di festival o dei teatri. Le sale espositive di musei e gallerie d'arte sono attraversate da molte persone durante l'arco della giornata e la maggior parte di loro, come al Reina Sofia, sono ignare del nostro lavoro, questo trasforma ogni volta la relazione con il pubblico e il modo di utilizzare il materiale della performance. Lo spettacolo nell'Istituto Culturale e di Documentazione Lazzerini ha una durata di circa due ore, ma solitamente negli spazi più grandi si protrae fino a sette ore consecutive.
Cosa ti spinge a cercare altri luoghi oltre al teatro?
Sono sempre state delle commissioni, mi è capitato di essere ospitata nei festival con un lavoro per il teatro che andava riadattato allo spazio museale. La cosa che trovo interessante, appunto, è la relazione che si crea tra il pubblico casuale e la performance. Se elimini l'apparato scenico teatrale, poi, quello che rimane è l'essenza, il cuore pulsante dello spettacolo e di ciò che vuoi trasmettere.
In che modo il pubblico sarà coinvolto nella peerformance?
Il pubblico è invitato a interagire con Olivia. Può partecipare all'evoluzione del progetto o scegliere di uscire, tornare più volte per vedere la performance o decidere di abbandonare definitivamente lo spazio. All'Istituto Lazzerini proviamo un formato molto diverso da quello a cui eravamo abituate perché gli spettatori sono coscienti di ciò che andranno a vedere, infatti sono leggermente scettica rispetto a questo aspetto. Vedremo cosa succederà.
Marta Sbranti