Interviste, recensioni, approfondimenti, interventi dal laboratorio di giornalismo "Per uno spettatore critico", in diretta da Contemporanea Festival a Prato dal 23 settembre al 2 ottobre 2016
Il Teatro Fabbricone di Prato ha ospitato nella serata del 1 ottobre lo spettacolo A mon seul sèsir, ideato e diretto della danzatrice e coreografa francese Gaёlle Bourges. Classe 1967, la Bourges si forma come ballerina classica e intraprende studi di letteratura moderna e inglese. Realizza i suoi primi spettacoli con la Società K e fonda il gruppo Batz Raoul, ensemble che ha prodotto dal 2000 al 2005 una serie di performance di danza che si interrogano sul rapporto tra lo sguardo, la rappresentazione del corpo, la storia dell'arte e la storia delle forme sceniche. L’artista segue un corso di arti dello spettacolo presso l'Università di Parigi e fonda l'Associazione Os insieme a Carla Bottiglieri e Monia Bazzani; lavora per alcuni anni come spogliarellista e da questa esperienza nasce una lezione-dimostrazione sul mestiere, scritta con tre fedeli compagni: Marianne Chargois, Alice Roland e Gaspard Delanoë. Gaëlle Bourges realizza il trittico Vider Vénus, completato con La belle indifférence nel 2010 e Le verrou (figure de fantaisie attribuée à tort à Fragonard) nel 2013. L’artista è autrice inoltre di En découdre (un rêve grec) nel 2012 e di 59 nel 2014.
A mon seul désir non è solo il nome attribuito alla performance ma anche il titolo di uno tra i sei arazzi, custoditi presso il Museo di Cluny di Parigi, che compongono il ciclo de “La dama e l’unicorno”, una tra le più importanti opere di arazzeria del medioevo europeo. L’operazione che la Bourge realizza è quella di far rivivere l’arte pittorica sul palcoscenico, concedere a ciò che è immobile e definito la possibilità di acquisire plasticità, una chance di mutazione e movimento. Questo discorso è già presente nell’opera citata Le verrou (figure de fantaisie attribuèe à tort à Fragonard), attraverso la quale la Bouges realizzò una trasposizione scenica di un’ipotetica opera attribuita al pittore francese Fragonard; alla base di tale intervento c'è l'idea che il teatro sia in grado di descrivere, attraverso la parola e le immagini vive, un’arte come la pittura, quest'ultima impossibilitata, per sua natura, ad evolversi e mutare. Siamo abituati alla trasposizione scenica di un opera letteraria ed eventualmente a quella filmica di un’opera teatrale; meno comune è la resa scenica di un’opera pittorica, e già tale ragione rende l'operazione affascinante.
Lo spettacolo si articola in una coreografia semplice e lineare, accompagnata da musiche medievali e vede le danzatrici nude muoversi con grazia e lentezza. La danza delle quattro performer è scandita da una voce fuori campo che funge sia da guida per cadenzare i diversi momenti scenici sia da vera e propria voce narrante, attraverso la quale lo spettatore è accompagnato nella riproduzione scenica dell’arazzo. Il racconto presenta tratti storici e, in alcuni passaggi, ironici.
Nella prima parte le danzatrici sono inginocchiate dinanzi un ampio telo rosso bordeaux, impegnate nell’atto di decorarlo con diverse tipologie di fiori così da riprodurre lo sfondo dell’arazzo; in seguito le donne si trasformano in diverse figure animalesche tra cui quella del coniglio, del leone, della scimmia e della volpe. Una maschera copre il loro volto. Una delle performer, abbandonata la maschera, si accosta alla scena adornata di oggetti preziosi, è vestita con un bel abito che lascia scoperta la parte posteriore del corpo. Un semi-nudo capace di dare concretezza al filo conduttore simbolico dell’arazzo così come trasposto sulla scena: la sessualità. La dama è infatti in compagnia di un unicorno, immagine di castità, il quale non può restare pacifico se la giovane donna è impura. Il corno potrebbe però rappresentare «una sorta di chiaro complesso fallico», come Salvador Dalì affermava con ironia, e pertanto lo spettatore è spronato a domandarsi se l’animale leggendario sia attratto dalla verginità della dama o sia piuttosto un’allegoria del desiderio carnale.
Nella società contemporanea, per così dire “sessualizzata”, il valore e il concetto di verginità hanno un’accezione nuova rispetto al passato e la profondità e sacralità che storicamente la connotano sono ormai lontani dalla nostra cultura. Qual è oggi il senso del desiderio sessuale? Quale quello della verginità? Questi sono gli interrogativi che A mon seul désir propone al pubblico del Contemporanea Festival, incoraggiandoci a riflettere sull’importanza della sessualità come tassello della costruzione dell'identità personale e sociale.
Lo spettacolo è strutturato in due parti, la prima (tre quarti dell’intera messinscena) si concentra sulla riproduzione dell’arazzo e sulla resa scenica dell’opera pittorica. La seconda nasce invece da un laboratorio tenutosi in occasione di Contemporanea Festival e ha visto protagonisti trentaquattro volontari, integrati nella performance nel ruolo di “bestiario”. I volontari si esibiscono in una coreografia dove protagonisti sono le musiche dal ritmo cadenzato e luci a intermittenza, per mezzo delle quali le immagini appaiono e scompaiono fino a disorientare e quasi disturbare la vista, avvolta in una instancabile pioggia di flash. Lo spettatore è dunque catapultato in una dimensione diametralmente opposta a quella sperimentata in precedenza e passa da uno stato di calma e armonia a uno di caos e energia. Un “bestiario” di conigli è ora in scena; uomini e donne nudi con il volto mascherato danzano con fare caotico sull’intero spazio scenico del Teatro Fabbricone (fino a quel momento lo spettacolo si era svolto nella parte anteriore delimitata dal fondale infiorato). L’immagine è suggestiva e spiazzante: un esercito di uomini-bestie che non trova pace. La forza sprigionata dal movimento, insieme con la cruda nudità dei corpi, è l’ennesimo richiamo alla sessualità, stavolta in una declinazione orgiastica, come se vedessimo seguaci di Bacco in stato di frenesia estatica. I tempi dilatati delle sequenze che compongono la messinscena rischiano di stancare la platea che tuttavia approva l’operazione della Bouges ricambiando l’artista e i suoi collaboratori con lunghi applausi.
A mon seul désir è un’opportunità di riflessione sul tema della sessualità ma soprattutto sulle potenzialità narrative e descrittive di un'arte teatrale in grado di rigenerare e dare nuova vita persino all’arazzeria fiamminga, altrimenti immobile preda dello scorrere del tempo.
Valeria Gaveglia