Rodolfo Sacchettini racconta tre anni di radio al Festival
a cura di Simone Caputo e Alessandra Cava
L’arte dell’ascolto: domande essenziali
Nel 2009, il primo anno di Santarcangelo 2009-2011, ho proposto a Chiara Guidi un progetto sul radiodramma. La mia intenzione era di mettere in campo una domanda sull’uso creativo della radio, partendo dalle prime interrogazioni che si sono posti i teorici, gli artisti, i protagonisti dell’epoca delle origini, molte delle quali oggi ancora valide. Ho recuperato i primi materiali disponibili negli archivi Rai, risalenti all’immediato dopoguerra. Mi interessava rimettere in circolo del materiale radiofonico, con la consapevolezza che se tutti sanno genericamente cos’è un radiodramma, per le nuove generazioni (compresa la mia) non c’è mai stata una vera esperienza di ascolto.
Proporre agli spettatori del Festival di Santarcangelo un materiale così antico ha significato perciò riflettere su come è cambiato l’ascolto oggi, a partire dai problemi relativi alla durata. Il confronto con Chiara Guidi della Socìetas Raffaello Sanzio, che da anni si interroga sul rapporto tra teatro e musica, sulla capacità immaginativa dell’ascolto, è stato certamente il primo banco di prova.
L’altra questione che mi sono posto era: come ascoltare? Si presentavano due possibilità: da una parte costruire una sorta di luogo dell’ascolto, magari in fascia notturna, avvalendosi del buio; dall’altra cercare un luogo conviviale, dove fosse possibile “appoggiare” lo sguardo, avere una libertà minima di movimento per rendere più naturale il momento dell’ascolto, e abbiamo pensato allo storico Ristorante Zaghini. Questo ha permesso di facilitare la fruizione senza creare una cornice troppo impegnativa che avrebbe spettacolarizzato materiali non adatti a reggere un simile peso.
Entrando nello specifico, ho individuato due domande chiave che si pone l’ascoltatore di fronte a un’opera radiofonica, due domande “geneticamente” legate a questo mezzo espressivo: “chi parla?” e “dove siamo?”. In particolare ho costruito un percorso in relazione alla domanda sul luogo. Il radiodramma degli anni Trenta ambienta l’azione in luoghi “parlanti”, cioè in ambientazioni che hanno delle qualità sonore, come una nave, un treno, il mare, la montagna: luoghi che hanno dei rumori ben riconoscibili e in cui una varia umanità sia obbligata a conversare. Nel corso del dopoguerra uno dei grandi cambiamenti è stata l’immersione nel mondo interiore, che ben si adatta alla specificità acusmatica del mezzo radiofonico. Ovviamente le possibilità sono tante: l’interiorità può essere il luogo della coscienza o un luogo imprecisato, per citare il radiodramma di Giorgio Manganelli con la regia di Carmelo Bene, oppure può essere l’Agenzia Fix di Alberto Savinio, un aldilà metafisico dove scompaiono i problemi di realismo.
Finale del mondo, radiodramma a tre dimensioni
Il passaggio successivo è nato dal desiderio di stimolare una compagnia alla produzione di un radiodramma. Occorreva inventare un modo nuovo, che permettesse a un festival di ricerca come Santarcangelo di spostare i limiti. Ho deciso così di coinvolgere una compagnia teatrale, Teatro Sotterraneo, con l’idea che il “sangue” del teatro, la forza del live, potesse essere una delle tante strade possibili per rivitalizzare il genere del radiodramma. Volevo lavorare sulla diretta, sull’accadimento, affinché il radiodramma potesse liberarsi da un immaginario che lo blocca a un periodo lontano nel tempo, considerato, un po’ troppo ingiustamente, polveroso e antiquato.
L’idea è stata quella di confrontarsi con il grande evento mediatico del 2010: la finale dei mondiali di calcio, che coincideva con la prima domenica dei mondiali. Come per tutto il festival diretto da Enrico Casagrande di Motus, ci si voleva confrontare con la “realtà”, cercando di tradurre, interpretare, trasformare sulla scena quello che accadeva all’esterno.
Chi partecipava innanzitutto compiva una scelta: la finale c’era, ma era la Finale del mondo (in diretta su Rai Radio3 con la collaborazione di Antonio Audino) e si giocava in uno stadio di provincia, in collegamento con il luogo più seguito in quel momento dai media di tutto il mondo. Ho chiesto a Teatro Sotterraneo di lavorare pensando prima di tutto alla costruzione del radiodramma, che poi avrebbe avuto una sua realizzazione scenica: non uno spettacolo da mandare in radio, ma un radiodramma da mettere “in campo”. I due momenti dovevano essere assolutamente autonomi: anche gli ascoltatori a casa dovevano fruire un’opera compiuta.
La scelta del luogo, lo stadio di Santarcangelo, portava la ricerca su una strada sperimentale, una sorta di “tridimensionalità” del radiodramma, perché il luogo dell’ascolto è dentro il radiodramma e lo spettatore/ascoltatore è dentro la partita: quella sera il pubblico è entrato con la voce nei microfoni non appena ha iniziato a esultare davanti alla partita fittizia, uno contro uno, che i performer mettevano in scena. In questo modo l’ascolto è entrato dentro la drammaturgia stessa del radiodramma. Si teneva presente il celebre episodio di Orson Welles, La guerra dei mondi, e la distorsione del presente di uno scrittore come James Ballard.
Festa della radio: nuove strade per l’arte radiofonica
Per Santarcangelo 41, diretto da Ermanna Montanari del Teatro delle Albe, sono ripartito con un’altra idea. L’esperimento del Teatro Sotterraneo era stato entusiasmante, ma ha prodotto un’opera unica, irripetibile, legata al momento in cui è accaduta. Quello che mi interessava quest’anno era mostrare un ventaglio di strade possibili per l’arte radiofonica, anche tramite la registrazione. Come rivitalizzare il radiodramma oggi? In che forma, in che modalità, coinvolgendo chi? Tenendo conto del fatto che il radiodramma nasce come arte ibrida, in un crocevia di artisti provenienti da campi spesso molto differenti, ho voluto lavorare sulla pluralità e sull’incrocio.
Ho coinvolto Claudio Morganti perché m’interessava l’opera di un grande attore di oggi che si confronta col mezzo radiofonico per vera passione e lo affronta da artista totale. A furor di popolo, ispirato a un testo di Strindberg, è un breve radiodramma che riesce a essere divertente e terribile allo stesso tempo, ed è composto con un’attenzione specifica alla musica e al suono.
La partecipazione di Stefano Ricci è nata in modo casuale, quando mi ha raccontato del suo progetto sonoro-musicale. Mi incuriosiva molto l’immaginazione acustica di un artista visivo. Quando ho sentito i primi frammenti mi è sembrato giusto spingerlo a pensare a un’opera radiofonica. Chiedi alla scimmia è un percorso sonoro e rumoristico nel quale le parole sono immersioni in un universo onirico. Per certi versi mi fa pensare a Weekend, un radiodramma astratto degli anni trenta di Walter Ruttmann: sia per il montaggio frenetico che per la qualità sonora.
A Menoventi ho chiesto di iniziare a lavorare a partire da Postilla, un loro lavoro per spettatore unico che prevede un contratto da firmare prima di assistere allo spettacolo. Mi è sembrato un interessante punto di inizio per la radio: la forma radiofonica può moltiplicare il suo carattere singolare, senza per questo trasformare il pubblico in massa. Alla fine degli anni Venti un teorico francese, Paul Deharme, si spinse a redigere dodici regole per scrivere un radiodramma. L’idea di base consisteva nel costruire un’opera nel quale l’ascoltatore fosse il vero protagonista e quindi la drammaturgia doveva essere costruita sempre con la seconda persona singolare, appellarsi direttamente all’ascoltatore. Una posizione che, resa regola, diventa senz’altro estrema, ma comunque un buon punto di partenza affinché i Menoventi iniziassero a costruire la propria opera utilizzando anche lo spazio scenico. In linea alla loro poetica viene fuori un sistema di scatole di cinesi, tra parti eseguite dal vivo e voci registrate.
Per finire, il radiodramma di Fanny & Alexander 338171, TEL, parte integrante ma autonoma di T.E.L., spettacolo ispirato alla figura di Lawrence d’Arabia che si svolgerà contemporaneamente in due spazi diversi (Santarcangelo e Ravenna) fra loro connessi in modo che possano dialogare in contemporanea. È una sorta di trasmissione radiofonica di cui io sono il conduttore. Ci sarà da un lato la trasmissione di lancio, dall’altro i collegamenti con i due spazi, dove verranno colte in diretta le voci e le sonorità. I Fanny & Alexander hanno lavorato sulla forma radio nella radio: trasmissione radiofonica e connessione reale con quello che accade. Il tutto è inserito all’interno di una cornice finzionale che si ispira in parte ad Infinite jest di David Foster Wallace.
Prospettive future per l’arte radiofonica
Rai Radio3 è l’unica emittente che attualmente investe sul radiodramma. È sempre stata la radio pubblica a dare spazio a queste esperienze: le radio private che hanno lavorato in modo creativo sul radiodramma sono molto poche. Si parte da questo dato di fatto, che è un grande limite. D’altronde per fare cose serie e belle ci vuole uno sforzo produttivo, oltre che una maggiore sensibilità. Credo comunque che nel panorama complessivo l’attenzione stia crescendo, sia per quanto riguarda l’ascolto specifico del radiodramma, sia per quanto riguarda le forme sperimentali che all’interno del teatro gli si avvicinano . La radio mantiene nonostante tutto una sua freschezza e innesca una riflessione sull’ascolto che sarebbe da potenziare, alimentare, rafforzare.
Grazie a un certo tipo di tecnologia che rende fattibili operazioni fino a qualche tempo fa impensabili, qualcosa si sta muovendo. Le potenzialità delle web-radio e degli archivi digitali ad esempio sono enormi. Secondo me bisognerebbe prima di tutto trovare un modo intelligente di rimettere in circolo il materiale esistente, esperienze antiche e anche relativamente recenti, ma praticamente sconosciute. Solo in questo modo si può alimentare un immaginario, abbattere qualche stereotipo e creare un contesto, dentro il quale sia possibile per il radiodramma riprodursi in forme nuove e vive.
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