Una delle particolarità de Il gabinetto del gottor Caligari è il suo non aver fatto scuola. È un film che ha avuto un successo popolare come pochi, eppure non ha avuto delle filiazioni. Se ci domandassimo quale possa essere il Caligari di oggi non troveremmo un'opera con caratteristiche simili. Questo rispetto alla manipolazione, al ritratto della polizia che dorme e tanti altri aspetti legati al rapporto col potere, ma non solo. Per trovare un'opera che ci convincesse e che non fosse pop (anche se è quasi impossibile oggi sganciarsi da questa etichetta) siamo risaliti a Caligari. Non a caso il manifesto che abbiamo preparato per il festival va in una direzione opposta al pop, è gotico. Partendo da questa suggestione della manipolazione (nel film Caligari controlla la volontà di un sonnambulo, spingendolo a commettere azioni nefaste) abbiamo fatto partire alcuni fili che sono confluiti nel convegno EST/OVEST: stati dell'arte. Per noi il confronto fra Est e Ovest rimane lo snodo su cui ci sembra importante confrontarci. Partiamo dalle cose di cui siamo intrisi, prendendo Arca Puccini come occasione per studiare.
Al Salone dell'Editoria sociale dell'anno passato ascoltammo una relazione di Jaroslaw Mikolajewski, in cui si raccontava che chi illustrava manifesti teatrali al di là della cortina di ferro doveva lavorare in sottrazione, perché la censura era molto forte e il potere andava dribblato. Questo è il primo aspetto, forse il più semplice: lavorare contro un potere che censura. Se pensiamo all'Occidente di oggi è chiaro che non si possono fare collegamenti diretti, perché, pur attraverso i tanti filtri che conosciamo, tutti possono dire più o meno quello che credono. Per noi diventava fondamentale provare a mettere a confronto due visioni e due storie: la produzione culturale russa con le nostre vicende. Partendo da Che cosa è l'arte? di Tolstoj, passando dai libri di Zachar Prilepin, per arrivare a Aleksandr Sokurov, che ha vinto l'ultima mostra del Cinema di Venezia. Ci piace ricordarlo perché la forma che ogni anno proponiamo per i concerti di Arca Puccini, che quest'anno sono in programma domenica sera nei cortili dell'Ex-tipografia, fin dall'inizio è ispirata al film Arca Russa di Sokurov: un tentativo di aggiramento del contesto messo in atto grazie alla forma dell'opera d'arte. Arca Russa è un piano sequenza nelle sale dell'Hermitage, un immaginario che “si chiude dentro” per fare uscire un ragionamento, un discorso. Questa riflessione sull'aggiramento, oltre che nel convegno, verrà affrontata nella mostra “Il teatro sulla strada”, che ripropone proprio i manifesti di cui parlava Mikolajewski. Venendo a Zachar Prilepin, per noi si tratta di un esempio di arte che sa stare al passo con la politica, evitando ogni tipo di retorica. La scrittura di Prilepin è del tutto “politica”: una volta lo scrittore ha affermato che sarebbe possibile bruciare tutti classici, a patto che la scrittura sappia stare vicino alla politica. Se non si riesce a fare questo, sostiene Prilepin, è impossibile essere scrittori nella Russia odierna.
Se da una parte c'è l'Est dall'altra c'è quindi l'Ovest, mondo complesso e infinito. Proprio per questo non potevamo che restare ancorati all'ambito musicale, che è poi il motivo per il quale facciamo Arca Puccini. Simon Reynolds si pone in maniera molto diversa rispetto a Prilepin. La sua è una scrittura “senza sensi di colpa”. Reynolds descrive, non propone un “carotaggio”, un affondo nel particolare per afferrare il generale. La sua è una descrizione anglosassone, che non mette la politica al centro. Quello che però Simon Reynolds non ha mai smesso di fare è stato cercare di tracciare delle connessioni, avendo in mente una storia: non ha mai rinunciato a un pervicace principio della sistematizzazione di tutte le esperienze musicali che ha raccontato. Ha saputo vedere il formarsi di certi fenomeni prima che fossero di dominio pubblico, facendo divenire le sue scritture “formative”. Per riportare tutto questo in un ambito italiano, in poche parole per chiederci che cosa sta accadendo in Italia oggi?, non potevamo che invitare Goffredo Fofi, oltre a due figure che spostano il discorso in ambiti più particolari: la musica per John Vignola, la letteratura come racconto dell'oggi per Paolo Cognetti (i suoi romanzi contengono sempre domande politiche, la sua è una fotografia che interpreta).
Volendo infine rintracciare un altro filo allegorico, dobbiamo parlare del sonnambulismo. Cosa spinge a discutere, a riflettere insieme, a fare un festival? Si può parlare, forse, di un metodo sonnambulo. Lo capiremo (forse) domenica notte.
(nevrosi)