Secondo la teoria elaborata dall’antropologo inglese Victor Turner e dal teatrante-teorico americano Richard Schechner, le performance sociali e culturali sono specchi riflessivi. Esse sono cioè luoghi privilegiati per la costruzione di meta-commenti sul mondo, sono opere d’arte artificiali e volontarie che permettono a una collettività e ai suoi individui di riflettersi, appunto, sentendosi di volta in volta più o meno vicini a quello che vedono. Dal rituale al teatro fino alle contemporanee performance ibride – per contenuti, linguaggi, funzioni – la questione della riflessività si è posta nei termini di un rapporto sempre problematico fra l’efficacia simbolica, che originariamente apparteneva ai rituali, e l’intrattenimento, che nasce con la forma teatrale. Il teatro come “luogo dello sguardo” intrattiene grazie alla capacità di distinguere tra la rappresentazione e la vita vissuta, perché permette agli spettatori di osservare, giudicare, identificarsi, distaccarsi da quello che vedono. In questo senso possiamo allora comprendere perché l’intrattenimento si leghi alla riflessività, al di là del significato negativo che gli è stato attribuito dalla critica alla società dello spettacolo che lo ha spesso definito come svago e divertimento vuoto. Dal punto di vista teatrale, inoltre, la riflessività si è strutturata come un dispositivo dello sguardo che però nel tempo ha ridisegnato la sua funzione attraverso i linguaggi del corpo, verso “modi di vedere” capaci di riattingere ad un “sentire” sia fisico sia interiore e condiviso con gli altri, in maniera più vicina all’efficacia del rituale. Ed è infine nella dialettica fra efficacia e intrattenimento che possiamo forse comprendere meglio l’emergenza di quello che oggi potremmo chiamare “teatro riflessivo”. Un teatro che usando con grande consapevolezza i temi della contemporaneità, sia a livello estetico sia di contenuti, si rivela molto interessante dal punto di vista sociologico. Il teatro riflessivo infatti è in grado di fornire dei parametri di osservazione non tanto “realistici” ma adatti a costruire dei meta-commenti sul mondo che sono indispensabili, lo si diceva all’inizio, alla qualità riflessiva della performance.
Laura Gemini*
* Sociologa, insegna Teatro e Spettacolo, Teoria e pratiche dell’immaginario contemporaneo e Sociologia del turismo presso l'Università di Urbino
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