In scena entrano quattro ragazzi con quattro birilli da giocoliere in mano. Ne appoggiano a terra tre, e dopo qualche minuto di concentrazione cominciano a lanciare la loro unica clava per aria e ad afferrarla. I primi venti minuti di Untitled_I will be there when you die di Alessandro Sciarroni mettono a fuoco questo gesto primitivo, ma già colmo di cura per l’oggetto che accompagnerà per tutta la vita i giocolieri, talmente innamorati di ciò che fanno da subire questo sentimento quasi come una condanna o un marchio perenne, come suggerisce il sottotitolo dello spettacolo.
Untitled, in scena nel secondo weekend del Festival di Santarcangelo, è il secondo episodio del progetto Will you still love me tomorrow?, iniziato nel 2012 con Folk-s (un lavoro sul tempo a partire dall’antica danza popolare) e che si concluderà con uno spettacolo sullo sport. Quel che abbiamo visto a Santarcangelo trasmette appieno i concetti di pratica e resistenza che stanno alla base della triade di Sciarroni, e riesce a farlo senza rappresentare la fase di allenamento e preparazione. Il coreografo marchigiano è riuscito a mettere in scena una narrazione, eliminando il virtuosismo dei giocolieri (quattro professionisti selezionati dopo una residenza iniziata proprio a gennaio a Santarcangelo) e scrivendo un percorso che va dall’individualismo alla collettività: già le interazioni con il singolo birillo, da casuali, diventano sincronizzate e ritmate dal tappeto sonoro creato dal vivo da Pablo Esbert Lilienfeld, il musicista in scena che ben si incastra con i movimenti dei giocolieri Lorenzo Crivellari, Edoardo Demontis, Victor Garmendia Torija e Pietro Selva Bonino e con le luci disegnate da Rocco Giansante. Il seguito non è altro che un crescendo di complessità verso l’armonica fusione tra i quattro giocolieri: prima ognuno comincia a gestire, gradualmente, i propri birilli; poi insieme cominciano a scambiarseli tutti e sedici tra loro, passando da interazioni più semplici a un esplosivo movimento finale che interrompe la musica di sospensione.
[Foto di Ilaria Scarpa]
Fondamentale, in Untitled, è poi l’accurata riflessione sull’errore: i giocolieri non tendono a mascherare le occasionali cadute dei birilli come accade al circo, ma vi si soffermano con uno sguardo di dispiacere e consapevolezza dell’inevitabilità dello sbaglio, dilatandolo. Ciò contribuisce a costruire una lieve tensione di fondo che si relaziona con le luci di ghiaccio, lo sfondo bianco e i vestiti chiari, ma anche col titolo dello spettacolo che riprende le ultime fotografie di Diane Arbus, la quale ha sempre nominato i suoi scatti tranne quelli catturati poco prima di morire.
Siamo insomma davanti a un’opposizione rispetto alla spensieratezza tipica dell’arte circense o di strada, con cui Sciarroni si è trovato a lavorare insieme ai giocolieri. Lo abbiamo visto lo scorso 26 gennaio, quando il coreografo ha presentato un primo studio di Untitled dopo cinque giorni di residenza al Lavatoio: qui i giocolieri (allora dodici, prima della selezione), oltre che non essere a loro agio dentro il meccanismo teatrale, erano ancora ‘sporchi’ di quel virtuosismo che Sciarroni è riuscito a eliminare del suo rigore pur conservando il lavoro sul corpo, operando su una pratica non teatrale e costringendo il pubblico a guardarla nella sua forma, e i giocolieri a inserirla dentro una narrazione.