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RECENSIONI E INTERVENTI > Teatro e politica: appunti a partire da Valters Silis e Teatro Sotterraneo

Si intercettano e arrivano con grande potenza i segnali dell’assestamento post sovietico. Non è per niente un caso che un regista lettone, Valters Silis, metta in scena a Santarcangelo •13 la rielaborazione di una ferita dell’orgoglio nazionale, la decisione del parlamento svedese nel 1946 di estradare 168 legionari baltici su richiesta dell’Unione Sovietica.
I soldati – con il ritorno dell’Unione Sovietica in Lettonia, Estonia e Lituania, dopo l’invasione nazista dell’“Operazione Barbarossa” – furono rimpatriati: fino alla morte di Stalin le repressioni delle spinte indipendentiste e le deportazioni in Siberia furono attuate con estrema durezza.
Legionnaries viene definito in scena dai due personaggi Karlis e Calle un lavoro di teatro post-drammatico: «Can you imagine that? Potete immaginare che dietro alle bandiere della Germania nazista, dell’Unione Sovietica, della Svezia e della Lettonia – che occupano quasi tutto il fondale – ci sia la Seconda guerra mondiale?»


[Legionnaires, foto di Ilaria Scarpa]

Mentre vediamo il lavoro di Silis e ci interroghiamo sulle responsabilità e le ricadute della politica nazionale e internazionale sulle persone, quella italiana è scossa dal terremoto kazako: un altro assestamento post sovietico, ma che ha preso una piega diversa dall’orientamento repubblicano ed europeo dei paesi baltici. Il pasticcio della politica italiana è sottoposto esattamente alle stesse regole e soprattutto alle stesse domande sull’interpretazione delle libertà e delle garanzie individuali in una società complessa. Alma Shalabayeva e la figlia Alua di 6 anni, moglie dell’ex ministro e banchiere kazako Mukhtar Ablyazov è stata espulsa, e si è consumato un pasticcio di politica internazionale. Quanta connivenza tra oligarchie del denaro in questa tela? Che cos’è il Kazakistan, oltre che un’importante fonte di approvvigionamento per le sue risorse di gas e petrolio? Come si definisce uno stato libero dall’Unione Sovietica che non intraprende la via europea dei paesi baltici, ma che nel 2007 ha votato la possibilità del suo presidente di ricandidarsi in eterno? E infine, davvero Berlusconi a inizio luglio ha incontrato il presidente kazako Nursultan Nazarbayev in Sardegna? Di nuovo lui, possiamo fare finta di niente? No, e per un motivo su tutti: anche per noi si tratta di un problema di identità. Non è possibile procedere per rimozioni successive.

Teatro Sotterraneo ha deciso «di immettersi in un quadro narrativo e di farlo saltare». Be normal! presenta due personaggi trentenni in scena che ci raccontano una storia, una giornata come un insieme denso, inizia alle otto di mattina e per ora – lo spettacolo che abbiamo visto è uno studio – si interrompe all’ora di pranzo. «Sotterraneo non fa teatro rappresentativo, ma sviluppa il discorso del non io».


[Be normal! Foto di Ilaria Scarpa]

Durante la giornata i due personaggi, mentre vengono licenziati, mentre tornano da lavoro, si imbattono in un rapina, azione simbolica del limite di sopportazione raggiunto dalla società della crisi economica, quella contemporanea. I rapinatori hanno la maschera di Berlusconi ed è naturale vederli così, sembra materializzarsi quella teoria della mercificazione dell’età giovanile che Stefano Laffi teorizzava ne Il furto. Tutto scontato, in teoria, ma la rappresentazione ha il compito di mettere in crisi i meccanismi autoconsolatori, e proprio su questo punto Be normal! apre con cattiveria un discorso sulle colpe. Infatti, se da un lato quelle maschere ci ricordano il ventennio appena trascorso, dall’altro il personaggio femminile sperimenta un limite poco frequentato: in alcune foto proiettate sul fondale, mostra se stessa affiancata a immagini significative della storia del mondo, dal big bang fino all’omicidio Kennedy. L’ombelico dei trentenni è solo la vittima del sistema o ha pure delle responsabilità? Le fotografie brucianti e sovraesposte che Teatro Sotterraneo ci ha consegnato negli spettacoli precedenti alludevano a un contesto letto con cattiveria e restituito come uno sfondo con cui fare i conti. Adesso in quel contesto si presenta un personaggio, un giovane uomo, che disadattato dalle regole d’ingaggio della società vacilla ed esplode per sussulti intermittenti, nella coazione a ripetere di un licenziamento, del tai chi, di un lavoro fatto indossando un costume da hot dog oppure uno sfogo con la maschera da wrestler. Possiamo parlare di colpe? Sembrerebbero egualmente ripartite tra quelle maschere e una giornata “archetipica”, così come le possibilità per uscirne imboccando la strada con intenzioni politiche e intime speranze.
A forza di essere ossessionati dall’immaginario che ci ha scazzottato per vent’anni, Teatro Sotterraneo ci getta in faccia la storia di una giornata (a oggi, mezza) in cui l’abbraccio postatomico davanti all’eclisse non è da reduci, ma è anzi il simbolo di un teatro di crudele sopravvivenza.

Questo articolo fa parte anche dello Speciale Santarcangelo •13 sul blog Minima et Moralia


di Nicola Ruganti
 

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