Dai margini dei discorsi culturali italiani sembra essersi persa una comune visione sulle funzioni del teatro. Si tratta di rappresentare le tensioni di un’epoca per criticare o contestare lo spirito dei tempi? Occorre essere tangenziali a forme e linguaggi dei mass media per tentare di intercettare più persone possibili? Oppure si deve operare per differenza, creando uno spazio alternativo ai quotidiani universi di finzione della comunicazione? Domande probabilmente ricorrenti, soprattutto per chi è abituato a frequentare uno dei festival più importanti della ricerca teatrale, ma che oggi risuonano ancora di più per lo spaesamento che provocano.
In un’estate decisamente “normalizzata”, dove i festival più importanti faticano a proporre discorsi che vadano oltre una fotografia dell’esistente, Santarcangelo continua a rilanciare. Chiede di considerare il disegno complessivo e non solo le singole opere e invita a guardare alle arti nel loro insieme, riflettendo sul senso stesso dell’andare a teatro; si interroga sulla sua funzione, provando a modificare il panorama commissionando spettacoli e progetti speciali e preservando zone “aperte” e non controllate (camminate che diventano conferenze, architetture temporanee, collaborazioni fra artisti senza esiti prestabiliti). E poi c’invita ad approfondire, organizzando una moltitudine di incontri; a uscire dai nostri steccati, proponendo letteratura, giornalismo, cinema e architettura; e ovviamente ci sorprende portando in Italia compagnie europee e sudamericane invisibili altrove. Difficile chiedere di più a un solo festival: noi proveremo a raccontarlo su queste pagine da oggi al 20 luglio, cercando chiavi di lettura che siano in grado di abitare lo spaesamento con le sue criticità. Santarcangelo 2014 è anche il punto di arrivo di un progetto triennale che abbiamo seguito da vicino, diretto da Silvia Bottiroli con la condirezione di Rodolfo Sacchettini. Non è ancora tempo di bilanci, ma forse è importante iniziare da subito a formulare desideri per il presente e per il futuro. A questo festival, a noi stessi, agli spettatori e ai nostri lettori chiediamo di fare i conti con la contraddizione. Forse il teatro può uscire dall’affanno se sarà in grado di mettere al centro la dialettica fra proposizioni differenti, alla ricerca di un punto mediano che si faccia scintilla per discorsi sul mondo apparentemente non conciliabili. Buon Festival a tutti!