In questo momento, mentre guardiamo, di fronte a noi c’è una tenda chiusa. Ai lati si proiettano immagini su muretti bianchi, immagini a volte fuori fuoco e tremolanti. In questo momento, mentre guardiamo, ascoltiamo le voci di una ragazza e di un ragazzo che dialogano all’interno, li vediamo in tempo reale negli schermi che rimandano anche situazioni da un imprecisato “prima”. In questo momento, mentre guardiamo, Ariel e Calibano, “A” e “C”, Silvia e Dalì si riparano in una tenda nel deserto: si chiedono cosa significhi avere fame, dibattono sull’idea di Oriente e Occidente, preparano caffè, citano Mahmoud Darwish, ricordano tempeste, evocano Hendrix e Cobain. In questo momento, mentre guardiamo, ci approssimiamo con delicatezza ai pensieri ai timori alle frustrazioni di due trentenni, divisi da idee di appartenenze geografiche svuotate per consunzione mediatica: l’Europa di Silvia Calderoni, i Paesi arabi Mohamed Ali Ltaief (Dalì).
Lui osserva immagini che scorrono in un laptop, le definisce «il mio film», scontri di piazza nella sua nazione, la Tunisia, dove ha incontrato i Motus durante quel “mucchio misto workshop” che il gruppo ha tenuto a varie latitudini negli ultimi anni; lei grida l’urgenza di volere fare qualcosa, si cosparge il corpo di coriandoloni argentati, poi esce dalla tenda per innescare nuove azioni. In questo momento, mentre guardiamo, due opzioni fra arte e politica sembrano darsi il tempo per dialogare, senza celare le loro rispettive contraddizioni, che poi sono anche le nostre: da una parte quelle di chi, dentro alla lotta, preferisce affermare di non avere fatto nulla, per evitare spettacolarizzazioni e parabole; dall’altra quelle di chi rincorre gli scontri generali, inquietudine vitale per innescare scintille ma sempre sull’orlo dell’autolegittimazione.
Come già in
The Plot is the Revolution e
Nella Tempesta, il finale di
Caliban Cannibal invita all’azione, sceglie di aprire per impostare nuovi discorsi. Si guarda al Valle Occupato e si smonta la tenda. Questa volta essere tanti non sembra una prospettiva immediata, ma Ariele e Calibano sorridono e si prendono per mano. Si aprono le porte del teatro, eppure ci sembra di avvertire un’incrinatura.