Andrea Adriatico presenta all'interno del Festival una trilogia su Elfriede Jelinek, un dialogo a più tappe fra la scrittrice, il regista e il pubblico. Abbiamo incontrato Adriatico qualche settimana prima del debutto di Un pezzo per SPORT, il terzo spettacolo dopo quelli tratti da L'addio e Jackie.
Le origini
L'incontro con Elfriede Jelinek risale a tanti anni fa, mi ritengo un poco l'artefice di una semina, dal momento che ho parlato a molte persone di questa autrice. La prima volta che ho sentito il suo nome è stato quando l'ho letto in una notizia sul giornale: Jorg Haider aveva fatto affiggere in alcuni teatri austriaci una locandina in cui affermava che la nazione doveva liberarsi di Elfriede Jelinek. Rimasi colpito e iniziai a raccogliere informazioni, il mio stupore aumentò quando appresi che si trattava di una persona che soffriva di agoràfobia e dunque scriveva da una posizione di autoisolamento. Ne parlai con Franco Quadri, che stava per pubblicare Sport con la Ubulibri. Franco mi rispose qualcosa del tipo «lascia perdere», e la sua sospettosa passione mi ha spinto ulteriormente ad approfondire. Negli ultimi dieci anni ho sperato di potere mettere in scena Sport, serviva un'ipotesi produttiva complessa che grazie a questo festival siamo riusciti a costruire.
Jelinek, il teatro, la politica
Si tratta di un'autrice difficile alla lettura. Per contro, e l'ho constatato lavorandoci, non appena le sue parole sono recitate assumono una potenza incredibile, senza perdere in complessità. Il teatro di Elfriede Jelinek è un teatro politico, che mi riporta a temi che avevo affrontato in spettacoli precedenti legati al rapporto fra individuo e società, fra singolarità e massa. Nel 90% dei suoi personaggi potremmo rintracciare riferimenti provenienti dalla cronaca, dalla mitologia, dall'attualità, anche se spesso sono manipolati. All'inizio di Sport la Jelinek inserisce un tema per me fortissimo: lo scempio fatto alla natura delle vallate austriache, riferendosi ai lavori svolti in occasione delle Olimpiadi. Non posso che pensare alle battaglie No Tav e giungere a una riflessione sull'intervento dell'uomo sul paesaggio. Credo infatti che nel suo teatro vi sia una dimensione “urbana” molto forte, intendendo qui un'attenzione alla relazione con la natura, con gli “sfondi”.
Jackie e le altre
Jackie, Delirio e la storia
Nelle opere di Elfriede Jelinek si trova una lettura a un tempo precisa e “infuocata” della Storia. Jackie, per esempio, riesce a tratteggiare la storia di un paese in profonda mutazione, gli Usa, e nello stesso tempo a ricostruire il personaggio con grande dovizia di particolari. Una dimensione più popolare e aneddotica convive con un'analisi stratificata, che ci riporta a un periodo storico cruciale per le sorti del pianeta. Quando mi sono accorto di questa doppia articolazione, resa possibile proprio dal teatro, l'effetto è stato scioccante. Lo stesso ragionamento vale per L'addio. La giornata di delirio di un leader populista (da cui ho tratto Delirio di una trans populista), dove l'autrice ricostruisce la figura di Haider operando un collage dei suoi discorsi politici. Delirio è un testo scritto da una donna che riflette su di un uomo, e «votare trans», slogan che accompagna il mio spettacolo, è l'idea che restituisce un registro fatto di attraversamenti continui, di passaggi. Dalla mia prospettiva omosessuale, mi sento infatti vicino ad autori che guardano il mondo da un punto di vista affine al mio, e non è un caso che mi sia avvicinato a Copi o a Bernard-Marie Koltès. Nonostante una certa tensione a “metterci da parte” ci accomuni, la Jelinek è invece per me uno specchio che rimanda una differenza, sono infatti persuaso che la sessualità incida profondamente sul processo di pensiero e di analisi. Ho dunque cercato di mettere in atto un approccio duplice: l'universo della Jelinek è stato il punto di partenza per arrivare a me, ma allo stesso tempo ho tentato di partire dalla mia biografia per giungere al suo mondo.
Delirio di una TRANS populista
Sport e l'approccio politico
In Sport sono presenti due elementi che mi colpiscono nel profondo. Il primo riguarda la scelta dell'autrice di mettersi in scena come personaggio, scrivendo «io sono». Il secondo è come un programma che lei usa ovunque, legato al concetto di altro: i personaggi si alternano e si trasformano in altro, si danno il cambio della battuta e parla una altro. L'idea stessa di spostare continuamente il polo di attenzione da un'altra parte è un'operazione politica, perché impone di considerare punti di vista diversi e molteplici. Della Jelinek mi interessa particolarmente il suo porsi in una condizione non dottrinale, ma di critica e di polemica. A differenza di Pasolini – che l'autrice sono convinto abbia letto e assimilato nel profondo – nel lavoro della scrittrice austriaca è assente la funzione dell'intellettuale guida, perché al centro sta l'idea dell'artista che osserva, funzione oggi più che mai necessaria e che la nostra società fatica ad esprimere.
Andrea Adriatico e il metodo
La creazione avviene spesso in uno stato di quasi trance, che si produce grazie un percorso di solitudine che compio senza accorgermene. Non lavoro a tavolino per ore, ma al contrario accumulo materiali e suggestioni che a un dato momento sono pronti per essere condivisi. Con gli attori cerco di usare le indipendenze della mente, non le dipendenze, e in una prima fase chiedo una sorta di adesione sulla fiducia. Nel caso di Sport, sembra che all'inizio del processo abbia intimato ad attori e attrici: «Non leggete il copione altrimenti mi dite di no!». È una frase che non ricordo e che mi è stata riportata da loro, qualcosa di vero deve esserci... credo che il teatro debba restare l'arte del muoversi, del costruire giorno per giorno, e probabilmente non volevo che arrivassero alle prove con una visione cristallizzata del testo.
Lavorando, mi sono accorto che quelli che formalmente sembrano monologhi in realtà non lo sono. È come se venisse detto: «Cala questi monologhi nella vita, piazzali lì nel mezzo, e vedrai che non sono più monologhi». Ci siamo infatti resi conto che la guida di tutto il testo è l'evento sportivo, evento al quale i personaggi assistono dall'inizio alla fine, commentandolo. Questa informazione è tutta l'anima della storia, eppure viene esplicitata in due righe. E il coro va inteso nell'accezione di “coro greco”, come rappresentante dell'intera società, nonostante nel testo sia introdotto con enfasi ma poi gli venga riservato un solo monologo.
Un pezzo per SPORT
Sport, l'attualità, la molteplicità
Tre sono i pilastri del testo, che sento vicinissimi al mio vissuto: la vita è un campo di battaglia, lo sport è un campo di guerra, le relazioni sono la cosa più complessa che esista. Momenti di lirismo, di inquietudine interiore, si alternano ad altri simili a dichiarazioni di guerra. Proprio come nella vita quotidiana, con le persone che amiamo utilizziamo un certo linguaggio, mentre ci esprimiamo in tutt'altro modo se i nostri interlocutori cambiano. A differenza di certa drammaturgia novecentesca, nella quale si creava una “bolla” in cui racchiudere un mondo, Sport si fonda sul chiaroscuro e sul passaggio, e così riesce a contenere tanti mondi.