Per il secondo anno consecutivo il duo Jonathan Burrows e Matteo Fargion ha conquistato il pubblico di Vie con la calibrata spontaneità di azione e contenuto. Speaking Dance è molto di più di una danza parlata, è un canto, un rumore, una filastrocca, un silenzio, è il quotidiano. Frammenti di vita che si compattano e si codificano per diventare scena. Due sedie, due microfoni e poco più, riempiono lo spazio dove si è sviluppato un incalzante discorso fatto di ripetizioni, di variazioni su temi sonori, di canzoni popolari italiane e brevi momenti di danza che a doppio binario illustravano la parola e allo stesso tempo ne erano illustrati. Per circa un’ora siamo stati ipnotizzati da un fiume di parole incessante, ma finalmente, come pubblico, ci rilassiamo e divertiamo di fronte a questo esercizio, in fondo così semplice. Niente pretese, niente intellettualismi, una comicità sottile, minimale come i loro gesti, dove non possiamo non riconoscere alcune nostre un po’ infantili abitudini. Come valore aggiunto, tra il danzatore e il musicista passa una complicità delicata e partecipe, che accetta e sostiene i limiti reciproci nelle differenti discipline. Insieme a noi infatti, sorridono spesso anche loro, dei piccoli errori e forse del ‘surrealismo’ di ciò che stanno facendo.
Speaking Dance convince e conclude la trilogia cominciata nel 2002 con Both Sitting Duet e proseguita nel 2005 con The Quiet Dance, presenti entrambi all’edizione 2006 di Vie; una coreografia delle parole che ci comunica in fretta il suo perché e soprattutto ci fa venire voglia di danzare.
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