INTERVISTE > Il teatro politico di Rimini Protokoll
I Rimini Protokoll tornano questa sera al teatro Comunale con la replica del loro ultimo spettacolo Karl Marx/Das Kapital: Erster Band. Anche in questo lavoro, la compagnia svizzero-tedesca affronta criticamente aspetti pervasivi della nostra società contemporanea, con attori non professionisti che apportano la propria esperienza di vita come ruvido elemento drammaturgico. Incontriamo Helgard Haug e Daniel Wetzel.
Perché avete deciso di dedicarvi a un teatro che va a svelare gli aspetti che meno funzionano all'interno della società contemporanea?
La nostra è stata una scelta quasi dovuta. Parlare di ciò che ci circonda è parlare di noi, non credo si possa definire una scelta, quanto un’esigenza. Ci sono cose che vanno chiarite, che vanno dette e questo è il modo che noi abbiamo trovato per farlo.
Questo ultimo spettacolo è incentrato sul Capitale di Marx. Come siete riusciti a portare in scena un testo tanto complesso e importante?
Abbiamo, paradossalmente, messo da parte il testo. Il Capitale è un libro molto noto, ma forse irriducibile sulla scena. Bisogna scendere in profondità per cogliere la sostanza, soprattutto in merito ad alcuni valori fondamentali. Abbiamo pensato di portare in scena persone comuni che già conoscevano questo testo, per permettere loro di esprimerlo. Alla fine si sono sentite toccate, assalite da quel testo. In questo lavoro Il Capitale e l’aspetto biografico si intrecciano continuamente. Nel teatro tradizionale domina il testo, nel nostro lavoro, invece, la realtà è ricostruita per dettagli portati dall’esperienza personale delle persone coinvolte. Questo uccide il testo come è comunemente inteso a teatro, lo depone dalla sua importanza.
Portare in scena degli attori non professionisti rende il vostro teatro più efficace?
Abbiamo coinvolto persone comuni perché ci interessava la loro percezione di questo testo così importante, specie nella cultura tedesca. C’è una spaccatura fra le diverse interpretazioni, fra persone di livello economico differente e c'è perfino chi lo ha rimosso perchè lo ritiene un pensiero politico pericoloso. Abbiamo cercato persone che lo possedessero come memoria collettiva e che potessero intrecciare la propria esperienza nel mondo del denaro come, ad esempio, il giocatore d’azzardo ridotto alla miseria dal suo vizio.
Diversi critici definiscono il vostro teatro non più "politico" ma "economico". La considerate una definizione corretta?
Non avevamo l’obbiettivo di creare una forma di teatro politico ma, lavorando con la gente, il nostro teatro è stato costretto a diventare politico. L’economia citata nei nostri spettacoli, le situazioni tratte dalla cronaca, tutto è un racconto politico. Come nel caso di Sebenation, che affronta la storia di lavoratori licenziati, coinvolti da un fallimento economico che è anche un tradimento del lavoratore da parte dei suoi superiori. Forse il nostro teatro è economico in un altro senso: non c’è "spreco" di pensiero, ma è essenziale, mira solo alla ricerca della verità.
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