INTERVISTE > Sguardo ebete, arte anacronistica per Mariangela Gualtieri
Crediamo che l'opera d'arte sia in grado di parlare non a tutti, ma alla persona. L'esperienza della visione rimane un dato singolare e personale, ma che vorremmo provare a descrivere. É possibile? Come porsi di fronte all'opera d'arte, come predisporsi, come farsi attraversare?
In questo nostro tempo, mi pare che l’arte abbia un fondamento idolatrico: crea idoli e adoratori di idoli. Mi pare abbia al proprio centro il valore monetario, spesso come unico valore; con la conseguente, strumentale, fastidiosa mitizzazione dell’artista. Ma l’arte smargina nel sacro, ha a che vedere con le nostre percezioni profonde, con la nostra fame mai saziata di bellezza e di verità: questo essersi fatta soprattutto merce e mercato, insieme alla caduta di ogni vocazione, ha seminato tutto intorno quantità immense di opere fasulle. Mancano anche voci autorevoli che ci guidino fra tutto questo similoro.
E poi vi chiedo: l’arte è una forma di conoscenza o un modo di sentire? Su questo bivio credo si siano staccati oriente e occidente.
Posso dire come mi pongo io, davanti all’opera. Credo che per predisporsi alla visione, e all’ascolto, occorra una certa demenza. Cioè una sosta del pensiero critico e ragionante ed uno stato di ebetudine, di caduta di ogni scudo, di ogni barriera e pregiudizio. Uno stato di attesa: attenzione e attesa sono parole sorelle. E questo stato forse somiglia a quello dell’artista, o del poeta nel momento della precipitazione poetica, quando accoglie ciò a cui darà espressione. Chi guarda, o ode, dovrebbe cadere di nuovo nello stato contemplativo entro cui ha preso forma l’opera.
Spesso si descrive l'arte dicendo che è al passo coi tempi o li rispecchia. Come si misura la contemporaneità di un'opera d'arte? Come questa può parlare al presente?
L’arte attinge da un magma così profondo che non viene intaccato dal tempo e dalle mode. Questa della contemporaneità è una sorta di illusione. Tutto ciò che ci parla per davvero tocca in noi corde profonde; è in un certo senso profetico, cioè capace di parlare orizzontalmente all’uomo, a chi sarà vivo fra mille anni, o meglio, a quel nocciolo dell’uomo che attraversa il tempo in modo quasi immutato. Per questo i classici ci parlano ancora. Non si sono consumati. Ai loro tempi, forse erano ‘contemporanei’, forse avevano quell’aria nuova, di cosa mai stata prima. Ma credo anche che spesso, l’arte che poi attraversa il tempo, che non passa con le mode, abbia un’aria quasi anacronistica, penso cioè che non aderisca in pieno ai dettami della contemporaneità. Se guardiamo le vite di Leopardi, Holderlin, Campana, Van Gogh…Il loro tempo non li ha amati, cioè non li ha riconosciuti come propri contemporanei.
Un altra frase che spesso si sente è che l'opera d'arte parla, o ci parla. Epperò sembra che le persone disposte ad ascoltare siano sempre meno. “Da pochi a pochi ma immaginando i molti” è una frase di Goffredo Fofi. Ma si possono davvero immaginare i molti, e come? Da quale prospettiva bisogna ripartire oggi?
Dal mio punto di vista, pare che le persone disposte ad ascoltare siano sempre di più. In teatro, ad esempio, c’è una grossa fetta di pubblico che non rientra più nel genere “abbonato”, né è un pubblico alla moda: si muove magari all’ultimo momento per qualcosa che riconosce come vivo e necessario. Forse si sposta spinto da sms o da mail di amici, ma è un pubblico splendido, alla ricerca di qualcosa che la moda non soddisfa. Il fatto che gli amici siano ormai le uniche nostre guide nel decidere che cosa andremo a vedere, significa in fondo che cominciamo a muoverci per passione, per amori che ci accomunano. E infatti, nell’attuale deserto, non abbiamo, come dicevo, guide autorevoli. Sto girando a leggere poesia ovunque e ovunque trovo un ascolto pieno, commosso, grato. Certo la formula è molto semplice: la voce, delle parole che hanno voglia di arrivare, un microfono, un po’ di musica. Mi pare anzi che vi sia una sete diffusa di qualità, di profondità, e potrei dire di riti che accomunino, nel sentire, nel compatire.Forse perché i media non parlano e non ci possono parlare di questo popolo di attenti, si ha l’impressione che essi non esistano.
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