I primi passi di quest’ultima edizione di Vie ci spingono a riflettere sul mondo dei festival di teatro contemporaneo che rivela una realtà multisfaccettata, in evoluzione, spesso minata da contraddizioni. Esiste una dimensione di questo mondo in cui gli artisti emergenti vivono l’ esperienza dei festival come prima vetrina per una più ampia visibilità ma, sempre più spesso, questi eventi diventano la loro unica fonte di partecipazione al mondo teatrale. Forse perché, in Italia, ai festival è affidata la parte maggiormente rischiosa del panorama teatrale concedendo alla programmazione della stagione l’opportunità di coinvolgere un pubblico meno specializzato. O forse, perché sono le compagnie stesse a ricercare quella libertà artistica che, sempre più spesso, solo i festival sono in grado di garantire. Ci sono altri aspetti del mondo delle rassegne, che andrebbero osservati meglio perché determinano conseguenze rilevanti sul piano artistico. Ad esempio, il fatto che gli organizzatori di festival sono spinti per vincoli ministeriali a richiedere alle compagnie spettacoli in prima nazionale: questo comporta la creazione di un circuito in cui la qualità degli spettacoli rischia continuamente di essere minata, sotto la pressione di una iperproduttività imposta. Oppure la scelta sistematica, da parte delle compagnie, di realizzare spettacoli appositamente progettati per accedere a questo circuito, il che, come è ovvio, modifica pesantemente la produzione teatrale rischiandone la sclerotizzazione. Ancora tanti sarebbero gli interrogativi sulle possibilità future di questo universo, ormai parallelo a quello delle stagioni teatrali, ma, soprattutto, sulle vie da percorrere per poter cambiare ciò che meno funziona di questo sistema.