Un programma eclettico, dalle proposte sfaccettate, che presenta una selezione di opere che esulano da temi ricorrenti e si pongono come un’istantanea del teatro di oggi. Il direttore di Emilia Romagna Teatro, Pietro Valenti, racconta le sue scelte e ci presenta, senza troppo riserbo, alcune anticipazioni sugli spettacoli ai quali assisteremo durante il Festival
Come è nata la programmazione di questa settima edizione di Vie? Cosa lega fra loro gli artisti scelti?
Non abbiamo mai cercato di tracciare rassicuranti linee tematiche che attraversino il festival. Ciò che ci interessa è realizzare degli incontri, per noi in quanto operatori, per poter conoscere le compagnie, e in seguito per cercare di trasmettere questo tipo di esperienza al pubblico, che è composto da spettatori fedeli negli anni e attende nuovi artisti ma è anche curioso della maturazione compiuta dalle compagnie già ospitate in passato.
Sul piano pratico il nostro rapporto con le giovani compagnie si divide in due fasi: in un primo momento ci occupiamo di ospitare gli artisti nelle stagioni di Modena, così che possano conoscere il territorio e il nostro ambiente, in seguito proponiamo loro di tornare e proporre i lavori all’interno del Festival. A guidarci è la curiosità: la voglia di cercare, di lasciarci guidare dalla motivazione spontanea, ma senza essere impulsivi; sappiamo aspettare e spesso abbiamo ritardato l’annuncio di un’opera magari solo perché dotata di un titolo non troppo convincente. Non ci sogniamo di rimanere seduti in poltrona attendendo che qualcosa ci piova magicamente sulla scrivania.
L’importante è distinguersi dalle proposte che affollano i cartelloni in questa epoca; il vantaggio che manteniamo dipende da uno sguardo che cerchiamo di mantenere il meno obiettivo possibile. Inseguiamo ogni elemento che ci suggestioni e ci facciamo trascinare dalle fascinazioni: sapere vedere dove gli altri non guardano consente di unire realtà distanti che per noi hanno delle somiglianze distintive. Troverete delle similitudini tra le offerte del programma: non si può dire che il teatro di Maxwell sia vicino a quello della Lidell, ma se andiamo a osservare con attenzione sicuramente si troveranno dei tratti affini.
Quella dell’ERT è quindi una realtà verticale, che cerca di avviare contatti profondi con l’artista.
Esatto, il festival si apre con Pippo Delbono e si chiude con Virgilio Sieni, autori che con Modena hanno un rapporto continuativo e prolungato nel tempo: il pubblico delle Passioni ha assistito a qua-i tutti i loro spettacoli; diventare testimoni dell’intera opera di un artista trasforma la sua vita e la sua ricerca in un immenso affresco. A questi nomi si affiancano molti altri che hanno lavorato con noi nel tempo. Un esempio su tutti è la recente collaborazione con César Brie, al quale è stato affidato un laboratorio con un gruppo di giovani. Ci pare giusto che il frutto di questi sforzi si mostri durante i giorni di Vie, benché poi lo spettacolo ritorni in stagione al Teatro delle Passioni per un mese. Sono semplici condizioni che strutturano un organismo complesso e unitario dalle molteplici facce, come deve essere uno Stabile Pubblico: la stagione delle Passioni, Vie, la produzione; ma anche i lunghi percorsi, come il legame con i Motus che non si è concluso con la produzione di Alexis del 2010, ospitato prima a New York poi a Buenos Aires, ma prosegue a Modena dove la compagnia conduce un laboratorio. Sarebbe per noi una grave mancanza invitare un artista senza condividere con lui un orizzonte di relazione e collaborazione.
ERT possiede una rete di contatti che supera i confini geografici, come nel caso di Prospero, il progetto internazionale di produzione e circuitazione.
Prospero ha permesso quest'anno di portare Krzysztof Warlikowski in Italia per la prima volta. Questo progetto si concluderà nel maggio 2012 e dal punto di vista formativo ne stiamo uscendo sicuramente arricchiti, grazie al confronto con le diversità incontrate fuori dall’Italia; certo, è vero che spesso le differenti visioni hanno portato a scontrarci e anche la lingua è stato un ostacolo non da poco, ma alla fine è sempre prevalso l’interesse per ciò che ogni membro poteva offrire all’altro. C’è stato un redditizio scambio reciproco di conoscenze e competenze. Basta pensare al partner di Tampere, da sempre più concentrato sulla formazione degli artisti che sulla loro produzione: proprio in questi giorni ha attivato il primo circuito di produzione teatrale finlandese. È un bel successo, che non termina in modo definitivo, ma muterà in un nuovo progetto che, dal 2013 al 2017, vedrà affiancarsi ai membri di Prospero realtà importanti come il Gran Teatro di Lussemburgo, il Festival di Atene, il Barbican di Londra e altri. Ci attendono nuove prospettive stimolanti.
Nei lavori in programma quest’anno molti artisti si confrontano con testi classici, drammaturgici o letterari
È una considerazione in parte giusta, se non necessaria, ma consiglio vivamente di aspettare e vedere cosa succederà sul palcoscenico. Sarà interessante notare il modo con cui i testi sono affrontati dalle compagnie: Menoventi con L’uomo della sabbia, un classico minore, César Brie con I fratelli Karamazov, un classico della letteratura, Manfredini con Amleto, la prima tappa di un duello con il personaggio shakespeariano, che scardina le letture più canoniche. Anche Warlikowski ha lavorato su Shakespeare, ma è un confronto che va oltre il grande drammaturgo elisabettiano, un’opera “altra”, declinata al femminile attraverso i due monologhi di Desdemona e Cornelia. Sarà un esercizio per lo spettatore verificare come le icone della storia sono state reinventate.
Lei ha un percorso che ormai possiamo definire di operatore "puro", in un territorio che, da questo punto di vista, ha da sempre proposto forme di organizzazione alternative...
Il mio percorso all’interno dell’ERT ha assunto una direzione ben definita e coadiuvata da persone che non calcano il palcoscenico. Ho sempre pensato che un artista non sia la figura più indicata e pronta per rivestire il ruolo di operatore, perché un artista ha due caratteristiche: l’egoismo, che lo porta a porre se stesso al centro del suo lavoro, e la fragilità, che lo spinge a concentrarsi sulla sua vita spesso ricca di esperienze trasversali e nomadi; questi caratteri lo privano della generosità, non nei confronti del pubblico, ma in rapporto al mondo che lo circonda. Quindi, senza alcuna esitazione e facendo le debite eccezioni, credo che le esperienze in cui un artista è posto al centro dell’organizzazione di strutture pubbliche abbiano un limite. Ognuno di noi ha una propria visione del teatro che esclude coloro che non ne fanno parte, o coloro che non ci piacciono: persino l’operatore “puro” non può essere obiettivo. Mi viene spesso rimproverato che le mie programmazioni non prevedono spettacoli divertenti: può capitare, ma sinceramente ritengo che se il teatro, in quanto funzione pubblica e quindi operante grazie a dei finanziamenti pubblici, deve offrire degli spazi, questi siano debbano essere dedicati a opere che difficilmente si vedono in altri luoghi. Quando spendi soldi che non ti appartengono devi cercare di trovare un filone solido, con alla base un’etica forte. Anche per questo motivo, per l’incapacità di saper gestire dei fondi, il teatro è in crisi; l’unica cosa certa è che il pubblico non è in crisi, anzi, c’è una fortissima richiesta di teatro.
La produzione culturale, in Italia, vive sotto attacco. Su cosa scommettere per il futuro?
Non scommetterei più sul termine “contemporaneo”, poiché la sua ubiquità nei programmi teatrali lo ha svuotato dei riferimenti alla base dell’esperienza; questo è un fattore che ci rimette in gioco, ma siamo pronti a accettare nuove sfide. Sono sempre più convinto che il concetto di teatro come servizio da offrire si stia esaurendo, credo che debba prevalere una nuova concezione che consenta di eleggere il teatro a bene culturale; il teatro ha bisogno di operatori capaci di occuparsi seriamente di ogni fase della creazione artistica, addetti ai lavori in grado di saper riconoscere quando la ricerca è matura o quando invece richiede uno sviluppo più lungo nel tempo. Ciò che manca oggi è una realtà che permetta alle compagnie e agli artisti di curare il processo di produzione senza costringerli ad accelerare. Coloro che riconosciamo come maestri sono tutte persone che hanno lavorato e curato il processo fino all’estremo, e solo in quel momento incontrano lo spettatore; ma, affinché l’incontro sia felice, le energie e le risorse, anche economiche, devono essere spese nella giusta direzione.