Incontriamo Antonio Latella a Castelfranco Emilia nell’ambito del Vie festival 2011, dove ha presentato i primi due capitoli del progetto Francamente me ne infischio. Uno studio sulla figura di Rossella O’Hara per svelare i lati oscuri dell’America.
Nel primo episodio di questo progetto, Twins, Rossella sta facendo un sogno da cui, pur provandoci, non riesce a uscire. È un espediente che rimanda al suo essere incastrata nel “sogno americano”, in un paese che è casa ma anche gabbia e madre tirannica, in cui lei si muove con uno spaesamento che rimanda alle figure di Dorothy del
Mago di Oz e di Alice nel paese delle meraviglie. L’America di cui è vittima è in continuo movimento - lo stesso presidente, quando parla del progresso americano non è mai fermo – e vuole il controllo di tutto. Qual è il rapporto tra questa figura, così come lei l’ha costruita, e il sogno americano?
Questo primo capitolo è solo una scheggia, un prologo di tutto il progetto, che è in evoluzione. È un lavoro che ha bisogno di respirare e stiamo ancora misurando il rapporto con gli spazi teatrali perché non era stato pensato per essere presentato sul palco, ma in un teatro con le gradinate e il pubblico molto vicino alle attrici. Il pubblico deve stare dentro la scena. Tornando al progetto, nel primo capitolo abbiamo una Rossella che in qualche modo è schiava del sogno americano. Soprattutto leggendo il libro, è evidente come non si tratti di un’eroina, di una figura positiva, semmai il contrario. È una figura moderna: prima sembra voler assecondare la tradizione, poi avverte la necessità di scontrarcisi. Riesce a rompere tutte le regole, anche formali, del vivere quotidiano e lo fa per poter arrivare ad altro. In questa prima parte mi interessa presentare il lato infantile di Rossella, il suo essere donna capricciosa, un suo tratto molto forte in tutto il suo percorso di vita. Sembra sempre che non voglia diventare donna ma restare bambina, che non voglia neppure diventare madre, quindi invecchiare. Si tratta di un aspetto presente in tutta la prima parte del film, ma anche nel romanzo.
Per venire alla domanda, il movimento c’è e riguarda l'evoluzione del personaggio Rossella. Tutto quello che le sta intorno è "America" e le mostra ciò che potrebbe diventare, ciò che potrebbe rappresentare se accettasse di essere eroina, quindi di divenire un simbolo del sogno americano per gli occidentali. Così poi è stato: se pensiamo alle nostre madri e alle nostre nonne, per loro Via col Vento era il biglietto da visita dell’America, un suo grande archetipo. In tale prologo presento una Rossella schiava del sogno ma che cambierà, diventerà industria, capitalismo. Stiamo pensando di non fare mai interpretare il personaggio della O' Hara alla stessa attrice, stiamo cercando di trovare più facce per poter raccontare l’America di cui Rossella potrebbe effettivamente essere simbolo.
Dalle sue parole sembra emergere una figura contrastata, tesa fra istanze fra loro in contraddizione...
Rosella paga un prezzo molto alto per essere una donna libera, ma resterà sempre avvinghiata alle sue radici. Nel suo correre verso altro, si nota sempre un ritorno alla sua origine, alla sua terra: tornare alle origini e da queste rinascere, ci stiamo concentrando su tali aspetti. Significativa in tal senso è la scena dell’autismo del presidente, le sue parole spezzate che diventano inganno, come se Rossella fosse Alice nel paese delle meraviglie davanti al cappellaio matto. E alla fine Rossella chiede: «Perché non mi avete dato la mia altalena?»: ho voluto riproporre l’immagine dell’altalena che ricorre in molti film americani proprio per indicare il fatto che in lei persiste la consapevolezza dell’inganno e la ricerca di una felicità fanciullesca. Oppure quando avviene l’incontro con le due Marilyn, che descrivono il sogno americano come “il piacere assoluto della persona sola”: Rossella sembra inorridita ma in realtà è quello che sta cercando.
Analizzando certe immagini dello spettacolo, emergono varie letture della persona di Rossella: lei è quella che pur stando all’interno del sogno americano cerca continuamente Ashley, come se volesse riaggrapparsi ad un sentimento umano come l’amore; lei è anche peccatrice in quanto americana, quindi nasce già con il peccato dell’arrivismo; ma è anche la donna che deve essere salvata dal Gorilla, da colui che viene da fuori, dallo straniero. Chi è oggi, allora, questa Rossella?
Non saprei rispondere con precisione, o meglio, potrei dare diverse risposte che potrebbero funzionare allo stesso modo. Posso però dire che Rossella non esiste, Rossella è un sogno americano, è letteratura. È quello che dice il primo capitolo: l’America non esiste, è puro intrattenimento.
Da quale prospettiva lei racconta l'America? Che legame personale intrattiene con il Paese?
È una realtà che conosco bene, lo considero un paese meraviglioso. Il concetto di intrattenimento di cui parlavo prima, però, è riferito alla letteratura. Rossella è un’invenzione letteraria, straordinaria, per poter raccontare l’America.
Volendo fare riferimento al romanzo dobbiamo dire che si tratta di un'opera razzista, crudele. Attraverso l’invenzione di questo personaggio sono state fatte passare delle situazioni tipiche dell’America di allora, in cui il negro era considerato meno di una scimmia, concetto che valeva anche nella scienza darwiniana e che appartiene ancora oggi alla loro cultura. Volendo andare sull’attuale ambito politico, se penso alla candidata della destra repubblicana alle elezioni americane, Michelle Bachmann, vedo una donna terribile, di un razzismo puro, ma che rappresenta un pensiero americano ancora molto forte. Ma se penso alle donne americane in generale, credo che loro più di tutte abbiano compreso di vivere all'interno di un sogno. Non vedo molta gioia in una donna americana, anzi ci vedo molto dolore, molto di più rispetto alle altre donne occidentali. Forse perché hanno avuto la consapevolezza dell’inganno, forse sono arrivate prima degli uomini a capire di essere cadute nella trappola della bandiera a stelle e strisce. Per questo, le donne sono a mio avviso le uniche che possono farsi carico di un cambiamento, cosa che in Europa non succede. Basta pensare alle nostre immagini di politici, in cui l’unica donna è Angela Merkel, un’immagine inquietante.
Veniamo ad Atlanta, il secondo episodio.
La protagonista di Atlanta, la seconda puntata del progetto, è una donna molto forte rispetto a quella del primo episodio, meno bambina, che si toglie di dosso l’Ottocento ed entra nel Novecento, nel nuovo mondo.
Presento una donna che non accetta le regole del sistema di fine Ottocento, si ribella, una donna libera che vuole smettere di essere mosca, intesa come donna in lutto, per diventare una farfalla. È una donna che non è più solo simbolo di se stessa ma di un’intera città. Il padre di Rossella sostiene che la figlia è come la città Atlanta: hanno gli stessi anni e sono entrambe in movimento, si stanno affacciando al futuro.
C’è una particolare vena politica che affiora dallo spettacolo Twins: tutto è messo in superficie, tutto è estremamente chiaro e diretto, nulla è tenuto nascosto.
Preferisco essere criticato, magari non amato, ma voglio essere trasparente, anche nell’errore e con il rischio di far uscire uno spettacolo brutto. Alcune volte preferisco addirittura essere banale nell’esposizione di un pensiero, perché certe volte l’intelligenza sta proprio nell’accettare la banalità dell’esposizione.
Cosa è per lei un teatro politico?
Per rispondere a questa domanda ci vorrebbe del tempo, anche perché ho delle idee molto personali che possono essere facilmente fraintese. Oggi già fare teatro è un atto politico, in quanto fare teatro vuol dire vivere in una condizione di sopravvivenza. Se uno fa teatro oggi è perché ne avverte il bisogno, è una questione fisica che deriva soprattutto dalla necessità di dichiarare un pensiero. Trovo questo aspetto di per sè politico, ma anche abbastanza distante dall'etichettare un teatro come "politico" nel suo senso più comune. Credo che i teatranti dovrebbero stare attenti nel descrivere il loro lavoro come "politico". Si può essere politici anche quando si mette in scena Cechov: dipende dal modo di affrontare il teatro, dall'esigenza, dall'etica, dal guardarsi intorno. Il mio è un teatro politico anche nella misura in cui faccio uno spettacolo autoprodotto, con due lire. È il gesto che è politico: si continua a produrre cultura anche quando cercano di fermarci in tutti i modi.
La compagnia Stabile/Mobile in qualche modo si ricollega a questo discorso?
Sì. Stabile/Mobile nasce con l’intento di produrre ricerca continua. Per quanto mi riguarda, non mi sento di poter dire di fare "teatro alternativo", cerco di mettere insieme tradizione e ricerca come fosse una continua lotta, mi sembra molto interessante riuscire a viaggiare su questi due binari. Stabile/Mobile nasce per il bisogno di avere un gruppo: la stabilità sta nell’obiettivo di continuare a cercare un'evoluzione del far teatro. La mobilità sta nel fatto di non avere una casa, noi ci spostiamo da un luogo all’altro.
Mi sembra che in qualche modo tutto ciò si ricolleghi all’idea che stava portando avanti nella direzione del Nuovo Teatro Nuovo di Napoli: creare degli spettacoli di repertorio che si inserissero in un ambito di ricerca, portati avanti da una compagnia stabile almeno negli intenti...
La compagnia nasce proprio dal NTN. Io non avevo bisogno di formare una compagnia, ma a un certo punto abbiamo avvertito l'esigenza di proteggere una modalità di lavoro, di portarla avanti. La casa la fanno le persone e non le mura, per questo ci siamo uniti per andare avanti.