Nel corso del Novecento lo spettatore da semplice osservatore seduto in platea è diventato parte integrante dell'opera, quindi partecipante. Cosa differenzia l'esperienza dell'attore da quello dello spettatore, in dopo
?
Nel linguaggio sensoriale l’interrogativo ricorrente è come fare per trasformare uno spettatore passivo in uno spettatore partecipante, in un viaggiatore, come noi preferiamo definirlo. Chi partecipa è chiamato a intraprendere un viaggio dentro di sé, e non solo a prendere parte alla visione di un’opera. Il viaggiatore è il protagonista, crea il proprio percorso sulla base dei ricordi di una vita, della memoria del corpo, dei sensi. Ognuno formula la propria storia all’interno dell’esperienza che proponiamo. Non mostriamo un cammino da compiere, quindi, ma accompagniamo il viaggiatore in qualità di abitanti che vivono uno spazio prima del suo arrivo. Non siamo attori che recitano un copione, ovviamente definiamo sempre delle linee drammaturgiche da seguire, ma il nostro compito è creare una relazione di ascolto con chi ci troviamo di fronte, una condizione di base per capire i bisogni del viaggiatore: c’è chi si emoziona o chi fa molta fatica a mettersi in contatto con la propria intimità; c'è chi ha grosse difficoltà a restare al buio, condizione nella quale si resta in balia dei propri pensieri, messi a nudo in assenza di una percezione visiva. Anche per noi non è così semplice, ci mettiamo in gioco ogni volta, dobbiamo avere molta generosità di ascolto; ogni viaggiatore è dunque un mondo che porta con sé il proprio vissuto, non sappiamo mai in partenza quali corde andrà a toccare un determinato odore, un gesto. La relazione che si instaura tra pubblico e artisti è dunque estremamente intima, se il lavoro funziona assistiamo a un avvicinamento tale che fa crolllare quella divisione iniziale.
dopo
può essere interpretato come ciò che resta a seguito di una “rottura”, di una ”crepa” che si è prodotta nel passato di ognuno di noi. In una delle stanze, siamo infatti invitati a una cena nella quale tutti i nostri piatti sono pieni di crepe. Siamo dunque chiamati a riflettere su come ripararle? Possiamo leggere questa esperienza come una forma di catarsi?
dopo è quello che succede dopo! A parte il gioco di parole, non abbiamo l’ambizione che questa esperienza ripari “fratture” emotive, sarebbe una pretesa troppo grande. Forse, una volta uscito dall’installazione, il viaggiatore si pone una domanda, riconosce di avere vivere una "rottura” che fino a quel momento aveva volutamente dimenticato, si pone il problema di interrogare se stesso.
Come costruite la relazione fra spettatori e "paesaggi" presenti nelle stanze (mobilia, oggetti ecc)?
Cerchiamo di ridurre la lontananza tra pubblico e scena. Faccio un esempio concreto. La goccia è un elemento che è sempre presente in
dopo, ma non si tratta mai di una semplice goccia, per noi è come se fosse una crepa che inizia piano piano ad allargarsi fino a diventare pioggia e a trasformarsi in totale inondazione, come accade nella camera da letto allagata. La goccia si trasforma dunque a seconda del senso che gli attribuisce ogni viaggiatore.
ph Elena Romani
Come nascono le vostre opere?
Durante lunghe sessioni di lavoro ci domandiamo quali possano essere gli elementi più efficaci per fare in modo che il viaggiatore intraprenda un percorso sensoriale. Ci domandiamo in che modo invitarlo a compiere delle scelte, come sia possibile fare sì che si “attivi” per decidere cosa osservare, in che modo muoversi ecc. Diviene perciò essenziale provare a non essere descrittivi o letterali, altrimenti la curiosità non viene innescata e la mente non è incoraggiata a pensare. Una strategia che adottiamo riguarda un uso creativo della luce, offuschiamo i contorni degli oggetti rendendoli ambigui, più difficili da decifrare, stimolando in questo modo l’immaginazione del viaggiatore.
In che modo le reazioni dei “viaggiatori” cambiano a seconda della loro provenienza geografica?
Il nostro è un linguaggio che utilizza immagini archetipiche, dunque universali come la morte, la vita, l’abbandono. Le differenze ci sono, è inevitabile, e per questo quando arriviamo in un luogo nuovo cerchiamo la combinazione per entrare in contatto con la memoria, gli odori, gli usi del contesto che ci ospita.Tentiamo di immergerci nella cultura del luogo.
Che legame si instaura tra individualità e comunità nel percorso dello spettacolo?
Ultimamente ci preme trovare l’intimità in un contesto collettivo. I viaggiatori iniziano l’esperienza sensoriale come gruppo, ma lungo il percorso cominciano a riflettere sulla propria vita, spostando l’attenzione sulla propria individualità. Si instaura così una particolare relazione tra la nostra vita e le storie degli altri, come in un sottile gioco a coppie. L’accostamento dell’esperienza sensoriale ai principi del gioco non è casuale, sono in atto dei principi simili: si usa il corpo e non la testa per agire, si è chiamati a correre un rischio non sapendo quello che succederà, bisogna aprirsi all’ascolto per interagire con gli altri. Nel gioco come nell’esperienza sensoriale niente viene imposto, il processo di scoperta è graduale. Ovviamente ci sono delle regole che gli abitanti fanno rispettare, ma ognuno è libero di crearsi il proprio viaggio in ascolto degli altri. A volte a teatro si è spinti a cercare un effetto sorpresa per catturare lo spettatore, ma spesso si tratta di espedienti effimeri che rimangono in superficie. Il nostro obiettivo è riuscire a lavorare non solo su una sensazione ma anche sull'emozione e sulla memoria inconsapevole. Quando accade, tocchiamo un punto vero della vita delle persone, autentico.