Interviste, recensioni, approfondimenti, interventi dal laboratorio di giornalismo "Per uno spettatore critico", in diretta da Vie a Modena e Bologna dal 13 al 23 ottobre 2016
Amor, ultimo lavoro dell’artista greco Theodoros Terzopoulos, è uno spettacolo con due soli attori, in cui le parole vengono fatte a pezzi fino cedere il posto a numeri e cifre. È stato definito una “poesia teatrale” ma anche “un’emozionante elegia del perduto umanesimo – o in altre parole, una speranza per la sua rinascita”. Abbiamo intervistato Aglaia Pappa e Antonis Myriagkos, gli interpreti dei due personaggi in scena.
In Amor, da subito, siete entrambi sul palco. Aglaia, “incastonata” dentro a un tubo cilindrico, sembra un manichino nella sua immobilità. Antonis si muove incessantemente, segue col corpo il ritmo frenetico della voce. Abbiamo a che fare con due modi estremi di stare sul palco. Come vi siete preparati per questo spettacolo?
Tutte le performances dell’Attis Theatre fondato da Terzopoulos sono basate sul metodo attoriale che lui stesso ha messo a punto circa 30 anni fa. L’attore deve arrivare sul palco “nudo”, senza alcun riferimento biografico o psicologico. Deve raggiungere un “punto zero”, cominciando col sentire il proprio respiro e concentrandosi sulla propria energia fisica che trascende la personalità. L’esplorazione di sé consente di, come dice il maestro, “aprire il tempo”, imparare a controllarlo sul palco. Se impari a percepire un secondo come un minuto l’effetto cambia, hai una maggiore concentrazione.
Per arrivare a questo livello dedichiamo molto tempo all’improvvisazione, che ci consente di andare oltre i normali limiti e la normale resistenza che il corpo oppone, dovuta alla paura di perdersi. L’intensità così raggiunta consente di mettere in scena un testo di cui non restano altro che cifre e qualche sillaba, di creare una vera e propria musica attraverso le parole. Terzopoulos sa bene cosa vuole ottenere: sotto la sua direzione ogni elemento, attori compresi, diventa parte di un sistema che procede in armonia alla giusta velocità. Per questo sul palco, anche se non ci guardiamo mai negli occhi, ci prendiamo cura l’una dell’altro, siamo sempre a contatto nel respiro e nelle sensazioni.
Dopo l’improvvisazione c’è un momento in cui “entrate” nel personaggio?
In realtà “personaggio” è una parola che evitiamo di usare. Direi piuttosto che abbiamo del materiale, cioè selezioniamo durante l’improvvisazione gli elementi che ci sembrano rispondere maggiormente all’idea generale dello spettacolo. Dopodiché discutiamo ogni scelta: si tratta di una costruzione continua, non c’è un sistema chiuso che in determinati passaggi ti permette di raggiungere un risultato, quello non lo si afferra mai. La “improvvisazione infinita” del metodo ci prepara a questo, l’attore contribuisce a una creazione che è in perenne divenire.
Come può dunque un attore contribuire attivamente?
In Amor, per esempio, (parla Aglaia Pappa) Terzopoulos mi ha contattata semplicemente dicendomi che sul palco sarei stata dentro un tubo e che avrei dovuto ballare il flamenco. Ho iniziato allora a prendere lezioni ma volevo imparare solo le basi. Sapevo quale doveva essere l’effetto finale: un flamenco decadente, in cui si restituisce solo la “sensazione” di quello stile di danza. In quanto attrice ho fatto a modo mio, muovendomi sulle linee che Terzopoulos mi ha dato. Le prove molto lunghe servono poi all’attore per essere presente sul palco al 100% ma, ecco, ciascuno di noi interpreta a modo suo, attraverso la propria sensibilità e la propria fisicità, le linee guida generali. Di certo Terzopoulos ha sempre idea di ciò che vuole ottenere, ci conduce durante il percorso e ha un modo molto personale di affrontare i problemi di oggi.
Stiamo parlando di problemi politici?
La politica è in tutto il suo lavoro. Alarm, che è stato a Vie nel 2013, parla del potere; Amor parla invece della crisi economica di cui l’uomo è prigioniero e dell'analoga crisi in cui versa dell’elemento base della sua vita, l’amore. Per questo nello spettacolo ci urliamo addosso come animali e siamo sempre soli. Partendo da una riflessione sulla crisi greca si arriva a riflessioni universali di carattere politico e sociale. Le performances di Terzopoulos già nella loro genesi hanno un approccio internazionale e spingono a riflettere anche su questioni che sono dolorose. A volte il pubblico non è pronto a vedere, teme che vengano messi in discussione i pilastri sui quali fonda le proprie certezze. Ha paura. Dipende tanto dalla cultura, dall’apertura di chi guarda, ma penso che come artisti abbiamo il dovere di combattere il conservatorismo. Parlare al pubblico da un palco è di certo un privilegio ma anche una responsabilità: l’arte deve dare l’opportunità di ragionare sul presente.
Che ruolo gioca l'ironia?
L’ironia è un elemento molto creativo, soprattutto dal punto di vista dell’attore. È una linea sottile tra il serio e il ridicolo, stando a cavallo della quale la recitazione diventa in qualche modo “pericolosa” per chi guarda. Serve infatti a instillare un dubbio costante nello spettatore: sul palco esprimiamo i nostri reali sentimenti oppure si tratta di finzione all’ennesima potenza? L’attore in realtà è un “traditore”, capace di passare dal riso al pianto con la stessa velocità di un bambino. Per fare questo deve prendere i sentimenti con leggerezza, ed è questo che sostanzialmente costituisce l'ironia. L’attore è allora molto più di quanto effettivamente mostra: controllando completamente ciò che fa e dice, ha il potere di manipolare il pubblico e l'ironia, seppur in controluce, rende manifesto tale potere.
A cura di Claudia Nigrelli, con Francesco Brusa