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LABORATORIO DI GIORNALISMO E CRITICA > Gli artisti non possono salvare nessuno. Intervista a Terzopoulos e agli attori dell'Attis Theatre


Nell’ambito di Vie Festival 2017 il regista greco Theodoros Terzopoulos ha portato in scena Encore, ultimo spettacolo della trilogia iniziata con Alarme e proseguita con Amor entrambi presentati a Vie nelle scorse edizioni. Alle Passioni di Modena abbiamo incontrato il regista per farci raccontare quale è stato il percorso che lo ha condotto fino a Encore, e gli attori dello spettacolo, Antonis Myriagkos e Sophia Hill, per approfondire il loro particolare metodo di lavoro.



Qual è stato il lavoro di costruzione di questo progetto, da Alarme a Encore, passando per Amor?

Theodoros Terzopoulos: Il trittico, come in generale il lavoro di Attis Theatre, è un discorso sul tempo, su come aprire il tempo. Nei tre spettacoli in questione tutto è minimale e statico: non serve entrare, uscire o parlare per comunicare. In Alarme gli attori erano sempre di profilo, mai frontali, l’energia era sprigionata dal ritmo. Anche in Amor Aglaia Pappa era come una figura di Beckett, sempre ferma in un punto, mentre Antonis Myriagkos camminava continuamente avanti e indietro. La forma più aperta di tempo la troviamo in quest’ultimo spettacolo, Encore, perché il conflitto in scena è quello arcaico tra uomo e donna, tanto vicini quanto distanti. In questa trilogia si scava dentro al tempo, alla ricerca di una sua apertura per trovarne un altro, incluso nel primo, entro cui poter creare un proprio mondo. Per questo gli attori non hanno bisogno né di oggetti, né di azioni comuni tipiche del teatro naturalistico. Per uccidere una persona non serve necessariamente un coltello, basta uno sguardo: questa è l’energia data dal tempo, che è il nucleo dell’arte ma anche della vita. Siamo nell’epoca dell’esplosione del tempo: lo perdiamo, gli stiamo attorno senza mai coglierne il centro, le sue radici. Per sopravvivere oggi, in una vita che è solo esteriore, è necessario ritrovare il centro, la profondità.
 
Mi rivolgo agli attori: Encore segna la fine di un percorso, è un punto di arrivo o un nuovo inizio?

Antonis Myriagkos: Io ho partecipato al secondo spettacolo, Amor e ora a Encore, ma ovviamente ho visto Alarme, il primo. È stato significativo poter vedere anche da fuori i passaggi che hanno interessato questo percorso. In Encore tutto è molto più aperto e illimitato perché le due figure, il maschio e la femmina, nel loro scambiarsi continuamente di ruolo, non sono altro che i due lati dell’essere umano, le due facce di una stessa medaglia. Tale movimento di rotazione crea uno spazio inusuale e aperto. In qualche modo è come avere da una parte la vittima, dall’altra il carnefice. Si sta parlando di un gioco, nulla è reale e ovvio. In qualche modo lo si può intendere come il gioco della vita, già deciso ed eterno. Tutto questo è poi molto vicino alle due grandi materie di cui è composto il mondo, cioè la morte e l’amore (Eros e Thanatos). Io e Sophia sul palco cerchiamo di raggiungere quella sottile linea di confine, quel punto di incontro tra le due sfere, che però non riguarda ciò che succede tra vita e morte, è un altro spazio, non qui e forse nemmeno esistente, ma continuiamo a cercare. Negli spettacoli del trittico c’è spesso un corteggiamento creato da atmosfere e elementi opposti, ma, come si diceva prima, non ha niente a che fare con le emozioni. Se lo spettatore sente qualcosa è semplicemente perché è di fronte a qualcosa che accade. Il nostro è un continuo scavare  senza sapere la meta. È una “corsa all’oro” che spesso però porta alla roccia.

Parlando invece del lavoro attoriale, il metodo Terzopoulos, molto rigido nella tecnica, si concilia sul palco con l’emozione?



Antonis Myriagkos: È una domanda curiosa. Sono molti anni che io e Sophia Hill lavoriamo all’Attis Theatre con Terzopoulos. Abbiamo quindi imparato a stare sul palco attraverso un metodo che avvicina al senso del tempo. Lavorare sul tempo è una via molto specifica e non comune nel teatro. Quindi le nostre emozioni, in un certo senso, sono al di là delle situazioni ordinarie. Per noi significa essere molto aperti, pur non sapendo dove stiamo andando in un continuo senso di disorientamento. Questo almeno dal mio punto di vista.

Sophia Hill: Questo metodo ha specifiche regole da seguire. Quando si sta sul palco si segue una tecnica specifica, non le proprie emozioni. C’è però un momento a un certo punto in cui si ha libertà, ma questa apertura verso uno spazio senza limiti è possibile solo seguendo le regole.

Una domanda collaterale per Terzopoulos: spesso lei si è confrontato con il concetto di crisi. A che punto siamo oggi? C’è ottimismo o pessimismo? È possibile confrontare la situazione italiana con quella greca?

Non è questione di ottimismo o pessimismo, è riconoscere che la crisi fa parte di questo periodo, anche se si trova in un processo che le cambia forma nel tempo. La crisi è genesi e nucleo dell’arte, senza si essa non c’è arte. Non so se vada meglio in Grecia o in Italia, ma è di certo un fenomeno caratteristico del nostro tempo. L’epoca che stiamo vivendo oggi è diversa dal primo e secondo dopoguerra: siamo in una crisi economica, morale, culturale, ma anche dell’essere umano. È l’era della disumanizzazione. Non possiamo dire con sicurezza «questo è bianco o nero», possiamo solo dire che la nostra è un’epoca grigia. Viviamo ormai in un mondo virtuale, siamo meno umani. C’è la necessità di ritrovare il centro, la profondità umana.

Il pubblico è pronto a questo?

Il pubblico può, a poco a poco, imparare, può pensare e ripensare. Gli artisti non possono salvare nessuno.


a cura di Ilaria Cecchinato, laboratorio Per uno spettatore critico

 

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