Le chiederei di cominciare raccontandoci la storia di Rencontres Chorégraphique: quando è nato, con quali finalità, come è organizzato.
Quello che oggi si chiama Rencontres Chorégraphique nasce abbastanza indietro nel tempo, nel 1969, nella forma di concorso. Successivamente, negli anni '80, i Rencontres assumono un'importanza fondamentale sul territorio nazionale. Da qui, infatti, sono passati tutti i coreografi che successivamente hanno ottenuto cariche di rilievo nei centri coreografici nazionali. Si è trattato di un primo riconoscimento che ha permesso loro di operare un salto di qualità per ciò che concerne la visibilità. Solo per fare qualche nome, Catherine Diverrés, Mathilde Monnier, Philippe Decouflé, e molti altri ancora. In seguito, con il cambio di direzioni artistiche nel corso degli anni, si è assistito a uno spostamento verso un target più internazionale. La "palestra", intesa proprio come luogo fisico dove tradizionalmente venivano mostrati i lavori, anche se si trattava di formati di soli dieci minuti, è stata messa da parte, e ci si è trasferiti in un grande palco a Bobigny. Sono stati costituiti un premio in denaro per i vincitori e una giuria per valutare gli spettacoli.
A questo punto inizia la mia storia. Io facevo parte della giuria, e mi è stato chiesto di assumere la direzione artistica. La prima edizione che ho diretto era sulla falsa riga delle precedenti, con una vetrina di danzatori provenienti da differenti paesi. Quasi subito, però, mi sono resa conto che tale formula era ormai obsoleta, slegata dalle condizioni reali della creazione artistica. Il concorso prevedeva un limite di durata per le opere, da venti a trenta minuti, e aveva scadenza biennale. Io ho deciso di svoltare: al posto del concorso abbiamo pensato a un festival, da svolgersi tutti gli anni, senza limiti di durata per le opere. I Rencontres si svolgono a Saint Denis, che si trova vicinissimo a Parigi, ma non è Parigi. Questo fattore ci ha dato la possibilità di lavorare in collaborazione con diversi teatri e vari luoghi della capitale, arrivando a presentare 35-40 creazioni ogni anno.
Ci parla un po' del sistema delle residenze in Francia? In Italia, da qualche anno, sono attive alcune strutture "illuminate" che tentano di proteggere e accompagnare la creazione offrendo agli artisti periodi di residenza. Ovviamente rimane il problema dei fondi, che solitamente non bastano per stipendiare chi usufruisce delle residenza. Come vanno le cose in Francia da questo punto di vista?
Nel mio paese ci sono molte varianti, non è possibile descrivere un modello unico. Ci sono i centri coreografici nazionali, diretti da coreografi di riconosciuta traiettoria. Tramite il ministero della cultura, esiste un programma chiamato "accoglienza-studio": laddove vi siano sale prove libere, anche solo per brevi periodi, i centri possono accogliere le compagnie affinchè mettano a punto il proprio lavoro, proponendo loro anche un finanziamento economico. Questa è una prima formula di residenza che, lo ripeto, nasce su una proposta che i centri nazionali coreografici rivolgono direttamente alle compagnie. Inoltre, esistono tutta una serie di strutture, come festival, "luoghi" appartenenti alle municipalità, piccoli teatri che possono a loro volta proporre residenze agli artisti. Un'altra modalità abbastanza diffusa, magari con più frequenza nelle città piccole, è rappresentata da periodi di uno o due anni di lavoro a stretto contatto con teatri e coreografi/registi. Il teatro o il coreografo scelgono un'artista giovane che, usufruendo di una somma di denaro, avrà l'obbligo di produrre una creazione e di operare in stretto contatto con le scuole. Quest'ultimo aspetto è di fondamentale importanza per la formazione di un pubblico, che già dalla scuola inizia a crearsi un'idea autonoma sulla danza.
A sentire quello che ci ha detto in quest'ultimo discorso, sembrerebbe che in Francia esista una sorta di sistema che aiuta i giovani artisti a emergere. È così?
Sicuramente non è facile emergere, e anche in Francia molti hanno delle difficoltà. Va certo detto da noi si respira un clima di fiducia e che esiste un ministero della cultura che sovvenziona la danza. Le compagnie possono richiedere finanziamenti sui progetti direttamente al ministero, e successivamente ai festival e a tutta una serie di strutture che solitamente partecipano alle produzioni. Con una programmazione alle spalle di solito ci si garantisce un sostegno finanziario per i lavori futuri. Allo stesso tempo, però, credo che le cose stiano diventando di giorno in giorno più difficili. In Francia ci sono tantissime compagnie e le risorse spesso non bastano per soddisfare le richieste di tutti. Esistono ovviamente compagnie senza nessun finanziamento. Eppure, concludendo, mi pare si possa affermare che il numero elevato di festival e di teatri dove mostrare il proprio lavoro, e di strutture preposte alle arti sceniche, possano far parlare di una sorta di "accompagnamento" che il sistema offre ai giovani alle prime armi.
Vorrei poi aggiungere una specificazione sul mio lavoro e sul festival. Io non sono interessata primariamente ai giovani, non credo sia una questione di età. Nel festival, per esempio, ospitiamo molti "giovani" anagraficamente di mezza età! Quello che invece reputo fondamentale è individuare nel lavoro di creazione una visione sul mondo, un'esigenza di fondo, intravedere una forma visuale pertinente. Ovviamente sono più interessata alle proposte dove si palesa una "ricerca" di linguaggi nuovi, non lo nascondo.
Cosa ci può dire del pubblico, partendo dalla sua esperienza del festival? Spesso si sostiene che la danza contemporanea sia "difficile" per un pubblico non avvezzo al linguaggio. Lei cosa ne pensa?
Difficile non è la parola giusta. Mi pare che i teatri siano sempre pieni. Sposterei di più la questione sulla notorietà delle compagnie. Ci sono dei teatri che sono da tutti riconosciuti, per esempio il Theatre de la Ville di Parigi, o il Flamand o coreografi come Alain Platel e Anne Teresa De Keersmaeker: in questi casi troveremo sempre un pubblico numerosissimo. Quello che tu dici è forse più riferibile al lavoro di giovani compagnie poco conosciute. E qui entra in campo la questione dell'educazione al linguaggio della danza. Nel mio festival, per esempio, abbiamo due persone dello staff che si occupano esplicitamente di stabilire relazioni con le scuole e con le università. L'intento generale, che proviamo a mettere in pratica attraverso molteplici strumenti, si concentra sulla necessità di trasmettere una conoscenza della danza, o quantomeno uno stimolo molto ampio nei confronti di tutta l'arte contemporanea.
Credo che il pubblico dei Rencontres sia molto eterogeneo. Vi sono ovviamente molti addetti ai lavori. Ma anche spettatori a cui interessano in generale tutte le arti sceniche, senza troppe barriere tra danza e teatro. Infine, semplici appassionati incuriositi dalle nuove proposte, anche senza una preparazione specifica per quanto riguarda la danza.
Come avviene esattamente la scelta di un gruppo o di un coreografo per il festival? C'è una idea generale della danza che sottende i criteri di scelta?
È difficile rispondere a questa domanda in maniera precisa. Sicuramente ci deve essere una qualità di movimento e di scrittura coreografica. Ma oltre a questi fattori, credo che i lavori che ritengo meritevoli debbano porci delle questioni, degli interrogativi, debbano rilevare una sorta di "pensiero sul mondo".
In due parole. Mi pare che oggi l'etichetta "danza" fatichi a tenere il passo rispetto alla varietà di proposte pluridisciplinari che riconosciamo sotto questo nome. C'è ancora un valore aggiunto che ci permetta di definire danza un lavoro rispetto a un altro?
Nonostante la varietà, penso che il corpo sia ancora il dato esposto e irriducibile. Anche io, ovviamente, faccio spesso i conti con creazioni a cavallo fra le arti, dove sarebbe meglio parlare di performance. Ma questo "dubbio" sulle categorie, che in fondo mi pare abbastanza superfluo, si ripresenta anche nel teatro. Non mi piace rinchiudere la creazione contemporanea sotto queste etichette. Però, se proprio dovessi trovare un dato insopprimibile per la danza, questo certamente sarebbe il corpo.