Presente a Inequilibrio 07 con il suo lavoro Pupidda ou l'éxil, Giovanna Velardi è un esempio di artista migrante, per necessità di formazione e circuitazione. Forse proprio per questo, la Velardi è stata una delle prime animatrici degli incontri del Tavolo nazionale della danza, una capillare rete di artisti, compagnie, operatori e addetti ai lavori che ha tentato e sta tentando di fare il punto sulle questioni prettamente "politiche" legate alla danza in Italia. Di fronte a un caffè, la danzatrice e coreografa siciliana ci spiega gli intenti del tavolo, accalorandosi sulle questioni che più le stanno a cuore.
Ci riassumi in breve la tua traiettoria? Perché e quando hai lasciato l'Italia?
Me ne sono andata nel '96, all'epoca lavoravo con una compagnia chiamata "Teatri del vento" che aveva stabilito la sua base in Francia. Dopo alcune altre esperienze con gruppi francesi, ho iniziato, circa nel '99, a sperimentare una mia personale ricerca linguistica. Ho lavorato ad Avignone, tentando di coniugare la musica dal vivo con l'improvvisazione corporea, e mi sono spostata a Montpellier con Geneviève Sorin, una delle fondatrici della nouvelle danse francese. Da quel momento sono nati una serie di lavori a cavallo fra danza e musica, alcuni dei quali ho portato anche in Italia. In un secondo momento, il mio lavoro si è incentrato sulla creazione coreografica di "personaggi", termine con il quale individuo la delimitazione di una struttura, di un habitat che trasfiguri il linguaggio fisico in apparizione di figure narrative. In questa fase mi sono posta molte questioni sul ruolo del pubblico, sulla necessità di trovare una comunicazione reale con chi guarda. Ho iniziato così a inserire dei temi di ricerca, dei luoghi di indagine per ogni lavoro. Ho creato lavori come Ofelia, una riscrittura di una parte dell' Hamletmaschine, in seguito Corto circuito, un lavoro sulle maschere della commedia dell'arte. Devo dire che a Castiglioncello mi sento come a casa, avendo avuto l'opportunità di portare quasi tutti i lavori. Ovviamente la produzione di questi spettacoli è stata sostenuta in gran parte da istituzioni e teatri francesi.
Cosa ha da imparare l'Italia dalla Francia? Ovviamente parlo di sistema organizzativo e distributivo...
Penso che ogni paese debba costruirsi il proprio sistema in base alla sua storia. Ci si può ispirare a modelli di altre nazioni ma non si può semplicemente trasferire tutto e copiarlo. In Francia esiste una struttura di pensiero che permette agli artisti di cimentarsi in un percorso di qualità. Mi riferisco ai centri di alta formazione per la danza, per esempio, che in Italia non esistono. Un altro aspetto riguarda la circuitazione, che in Francia si avvale di una serie di spazi che danno l'opportunità di crescere. Come sappiamo, quei pochi circuiti che esistono in Italia sono bloccati. Si tratta di un problema legato alle normative, alle mille clausole che regolamentano lo spettacolo dal vivo, ma anche all'annoso clientelismo tutto italiano che privilegia il compromesso e l'accomodamento rispetto alla ricerca della qualità. Da questo punto di vista il lavoro da fare è tanto.
Parliamo del tavolo nazionale della danza. Dopo gli incontri di aprile, a che punto siamo?
Penso che sia un periodo decisivo. C'è stato un incontro con gli onorevoli Montecchi e Folena. In particolare con Folena ci siamo dati due scadenze. A settembre metteremo in piedi un convegno, incentrato sulle tematiche che ti dicevo prima, per esempio la mancanza di un'alta formazione specializzata. Nelle scuole si lavora ancora seguendo metodi pedagogici impositivi, che finiscono per svilire la creatività e le sensibilità dell'individuo. Un'altra scadenza che abbiamo prospettato per ottobre è la creazione di un evento ad hoc per la danza contemporanea italiana. Con il sottosegretario Montecchi abbiamo attivato un dialogo, fornendo i nostri suggerimenti per modificare i regolamenti. Io sono rappresentante del coordinamento per la danza nel Lazio. Abbiamo messo a punto una mappatura tesa a dimostrare che tutti i circuiti presenti in questa regione non funzionano, e che gli artisti tendono a dover sottostare a contratti miseri. Vorremmo che la danza contemporanea cominciasse a essere programmata anche durante l'anno, non soltanto in rassegne estive per lo più disertate dal pubblico. Un altro progetto riguarda la creazione di un centro di produzione e promozione non gestito da noi, che possa mettersi in relazione con le altre regioni e con l'estero.
Il documento che avete prodotto mi sembra molto preciso nella sua esposizione, in particolare nella volontà di individuare tre punti: normativa unica che disciplini tutte le attività performative; sostegno statale previsto solo per chi fa ricerca e per la conservazione del patrimonio del passato; creazione di una rete di spazi multi- disciplinari. Si tratta di obiettivi reali, che possono essere raggiunti, o piuttosto di spunti per riaprire il dibattito?
Sono obiettivi reali, è però chiaro che si tratta di un discorso in divenire. Sono punti cardine, utili per mettere dei paletti orientativi per avviare una relazione. Ovviamente, come in tutti i processi di cambiamento, la strada da percorrere subirà mutamenti e aggiustamenti. C'è anche la carica di un movimento di pensiero, è vero. Ma come cittadini italiani abbiamo il dovere di mettere la critica al servizio di un possibile cambiamento.
Pur essendo chiara la volontà di costruire una rete di coordinamenti, c'è forse il rischio di stare creando qualcosa che scivoli nella corporazione. Chi si associa partecipa agli eventuali benefici, chi rimane fuori è escluso. Cosa ne pensi?
È possibile, ma qui entra in ballo la coscienza dei singoli. Le dinamiche di accentramento del potere ci saranno sempre, e di questo siamo consapevoli. Sono però anche convinta che che questi tentativi debbano partire dagli artisti, e dalle persone che si occupano di creazione artistica. Dovremo essere molto attenti a vigilare, per creare una rete che non escluda.
Stanno nascendo coordinamenti più o meno su tutto il territorio nazionale, e si tratta di strutture pensate per includere, non il contrario. In Lazio, per esempio, ne fanno parte praticamente tutte le compagnie, da Alessandra Sini ad Antonio Tagliarini fino a Michele Di Stefano di Mk. Inoltre il tavolo lavora a favore della danza contemporanea in generale, e anche chi decide di non partecipare trarrà benefici dagli eventuali risultati.