Quale è stato il tuo percorso formativo?
A diciassette anni sono andata a vivere a Lisbona, dove esiste l’unico centro di formazione artistica per le arti dello spettacolo. Sono stata lì tre anni e ho incontrato Sophia Newparth, che per me è diventata un primo punto di riferimento per la danza. In seguito ho accumulato diverse esperienze con workshops e corsi intensivi, studiando anche con Francisco Camacho, Vera Mantero e João Fiadeiro. Sono andata ad Amsterdam, sempre per studiare e lì ho capito che la modern dance non faceva per me. Ho un problema con l’equilibrio, da quando sono piccola, e questo non mi ha agevolato. Avevo problemi a giocare con il mio corpo secondo quei modelli e spesso riscontravo molta difficoltà a relazionarmi con altri corpi nello spazio. Ho avvicinato la labanotation, studiando con un coreografo americano e nel 2005 ho fatto un’audizione per il centro coreografico di Mathilde Monnier a Montpellier. Finalmente lì ho trovato le connessioni e il materiale giusto per sperimentare. Ho imparato molto in quel luogo, mettendo anche in discussione i modi di lavorare dei coreografi che conoscevo, come ad esempio João Fiadeiro.
Hai voglia di raccontarci come è nato il progetto DOS JOELHOS PARA BAIXO che presenti a VIE e con cui hai vinto un importante premio coreografico nel tuo paese?
Devo premettere che questo spettacolo, che è stato classificato come ‘non danza’, in realtà è una vera e propria creazione coreografica e in termini di spazio e tempo l’ho costruito proprio come in un processo di danza. A me piace definirlo ‘spettacolo’. Tutto è iniziato quasi per caso. Fra l’altro l’ho preparato indipendentemente dal Premio, ma ovviamente con l’aiuto finanziario è stato poi più facile. Si tratta di un pezzo molto dettagliato, per il quale non ho lavorato all’insieme, se non alla fine. In realtà non mi aspettavo quasi di arrivarci. Non sapevo se mi piaceva o meno, se potevo definirlo danza o altro. In poche parole costruisco una città con la carta, prendendo il tempo per far accadere delle azioni e raccontare delle storie. Tutto è molto piccolo e parte da un pezzo di carta. Si possono fare molte cose con dei fogli di carta. L’idea è nata in un contesto particolare, quando mi trovavo a lavorare in un campo estivo alla scuola elementare di Campo de Ourique. C’era un bambino che non parlava, era da solo con una matita, una gomma da cancellare e un pezzo di carta. Mi sono seduta davanti a lui e il bambino, dopo aver disegnato un campo da calcio, ha dato una matita e una gomma da cancellare anche a me. Così abbiamo iniziato a giocare una partita di calcio su un foglio di carta, con le sagome dei calciatori che si spostavano da una parte all’altra del foglio e che il bambino cancellava e ridisegnava come voleva. Ma cancellando, rimaneva comunque una traccia. La cosa interessante, alla fine, è stato guardare il percorso, ciò che la matita aveva lasciato, i segni che si potevano ripercorrere anche all’indietro. Da allora, ogni sera per un anno, disegnavo qualcosa. Di solito sceglievo un momento della giornata che aveva avuto luogo in un certo spazio e disegnavo il percorso che io e altre persone avevamo fatto in quello stesso spazio. Dal foglio di carta, poi, sono passata a lavorare sul palcoscenico. Gli eventi che racconto si cancellano per continuare a far accadere qualcos’altro. Lo spettacolo avviene ‘dalle ginocchia in giù’, a un livello più basso, proprio perché è nato in relazione a un bambino.
La tua presenza a VIE è sicuramente un’ottima vetrina per una giovane danzautrice come te, anche perché in Europa non si conoscono i giovani coreografi portoghesi. Come si lavora in Portogallo?
Il premio che io ho vinto per questa creazione è l’unica cosa che succede nel mio paese. E in ogni caso anche di questo ho potuto usufruire solo in parte, dato che solo due strutture lo hanno programmato all’interno della loro stagione. Ho invece molte proposte fuori dal Portogallo. Addirittura, nelle condizioni del premio, veniva stato chiesto ai vincitori di fare tre spettacoli gratuitamente, ma anche in questo caso nessuno ha chiesto il lavoro. In generale, quello che accade nel mio paese è legato alle persone che si mobilitano e propongono nuovi progetti. Il Ministero sostiene solo la creazione e non la ricerca. I teatri possono fare domanda per i progetti con una durata di quattro anni e noi finiamo a lavorare in altri luoghi, dove però comunque non siamo pagati. Non c’è un sostegno specifico per la giovane coreografia. Oltre ai teatri ci sono le case dell’arte, ma ci sarebbe bisogno di un grande festival. L’unico festival importante in Portogallo è Alcantara, che però è biennale e l’ultima edizione è ormai stata quattro anni fa, per mancanza di fondi. C’è anche un piccolo festival di teatro di strada, “Fiar”, e un festival di danza urbana, “Lugar à Dança”, che fino a qualche anno fa era abbastanza importante ma ora è meno conosciuto. È anche una questione di generazione, quella precedente alla mia è molto conosciuta in Europa e viene chiamata regolarmente dai teatri e dai festival, mentre i danzatori e i coreografi più giovani fanno fatica e spesso devono contare su progetti studiati appositamente per favorire la loro circuitazione.