Negli ultimi mesi sono usciti due libri dedicati a Paolo Poli. Il primo, più aneddotico, raccoglie una decina di conversazioni e si intitola Sempre fiori mai un fioraio. Ricordi a tavola (Rizzoli), a cura di Pino Strabioli, attore che ha affiancato Poli nello spettacolo I viaggi di Gulliver; il secondo, più compiuto, vuole essere un vero e proprio Alfabeto Poli (Einaudi) e da Anni Trenta, Artusi Pellegrino, Avanspettacolo, passando tra l’altro per De Sade, Dio, Figli, Penna Sandro, arriva a Travestimento, Vitti Monica, Zeffirelli Franco. Curato con giusto equilibro da Luca Scarlini, il volume raccoglie e seleziona varie interviste pubblicate negli ultimi decenni, recupera interventi radiofonici e televisivi, articoli e dichiarazioni. Diventa così una sorta di “romanzo parlato”, in cui la voce di Poli emerge con nettezza in ogni pagina avvolgendo il lettore in ricordi e riflessioni appassionanti e spesso esilaranti.
Di libri su Paolo Poli ne sono usciti tanti. All’età di ottantaquattro anni continua a girare l’Italia al ritmo di duecento recite all’anno. Come un vero capocomico, o “buona madre di famiglia”, si presenta in sala molte ore prima dell’inizio dello spettacolo, seguendo l’allestimento, intrattenendo i tecnici e facendoli divertire. Insomma, Paolo Poli lo conoscono tutti, dai vigili del fuoco che presidiano ogni sera teatri e teatrini, ai tecnici, agli operatori e soprattutto al pubblico che continua a seguirlo con grande affetto. Eppure nonostante questo, a volte sembra che sia amato più fuori dal teatro che dai teatranti stessi, che non gli venga riconosciuta la dovuta importanza, non lo si consideri veramente come uno dei protagonisti dello spettacolo e del costume italiano del secondo novecento. Forse perché il teatro nel corso degli ultimi anni fatica sempre di più a farsi racconto e critica di questo paese, o forse perché la tradizione dello spettacolo più brillante e leggero è stato da tempo fagocitato e omologato dal piccolo schermo. Fatto sta che questi due libri ci permettono di rientrare nella cultura italiana del secondo novecento, tramite una figura unica nel suo genere che ha attraversato e frequentato, oltre al teatro, il mondo del cinema e della letteratura. Emergono relazioni, amicizie, miserie, passioni, amori, che sono vissuti come la quintessenza della vita, senza cedimenti al moralismo o alla nostalgia, e senza cenni di “filosofia”, come sempre di più accade di questi tempi in cui, secondo Poli, “siam tutti dottori in metafisica”.
È un teatro ancora a dimensione umana, un teatro vitale nella sua irriverenza, nei suoi scandali sessuali, nelle parole che paiono sempre ancorarsi a territori, storie e famiglie, passati e presenti. La voce di Poli è continuamente protesa a ricercar collegamenti e tener tirati i fili attraverso i decenni o addirittura i secoli. Nato nel 1924 Poli è cresciuto con il fascismo, ma di fatto la sua infanzia è immersa nella Toscana dell’amato Collodi. E nel burattino di legno vi è un’identificazione fortissima, nel suo essere indisciplinato e scatenato, nella sessualità ambigua. Ma il Pinocchio non vorrà mai portarlo in scena, perché “lo ha già fatto Carmelo Bene” e certe cose sono da ritenersi definitive. Anche se Le avventure di Pinocchio lo leggerà in maniera straordinaria per la sterminata collana di fiabe sonore della Fabbri Editore, di cui è una delle presenze più costanti. A distanza di trenta-quarant’anni la voce di Poli mantiene una vivezza straordinaria, incantando l’ascoltatore non tanto per virtuosismo, quanto per personalità. La sua voce contiene assieme l’afflato della nonna che racconta le storie, i birignao di principesse vanitose e snob e il gracchiare di streghe cattive. Più di una generazione la conosce per averla ascoltata e riascoltata nella propria infanzia, prima nei dischi, poi nelle cassette, nei cd e adesso sul web. È forse la voce del teatro che più di tutti ha saputo incantare i bambini.
[ph Giacomo Baldoni]
La toscanità di Poli ha però poco ha a che fare con la tradizione vernacolare, perché i suoi panni li ha risciacquati in Francia. L’Ottocento rivive, tra opere liriche e operette, in tutta una musica e un repertorio che scivola spesso nel torbido scapigliato e si porta dietro l’odore di sagrestie, stole e chierichetti e tante sante. La preferita è San Rita da Cascia che lui stesso, vestita da suora, interpreta a teatro a metà degli anni sessanta, con grande scandalo e divieto pubblico. Ma soprattutto riemergono, come punti di riferimento, i grandi romanzi di Balzac e Flaubert, anche se il secolo prediletto rimane il Settecento libertino, sempre francese, fatto di parrucche e travestimenti. Con questo ricco bagaglio Poli entra nell’avanspettacolo recuperando Nicola Maldacea, Ettore Petrolini e l’amata Franca Valeri. È curioso che nelle sue lunghe affabulazioni Poli, assieme aristocratico e popolare, generoso e ritroso, non parli mai della sua arte attoriale, non entri mai nello specifico delle tecniche, che pure maneggia con grande maestria. La sua officina rimane segreta, al contrario invita il lettore, o per meglio dire, l’ascoltatore, a visitare la sua libreria, a sfogliare l’album dei ricordi, srotolando film, canzoni, quadri. Possedendo grande ironia, e soprattutto autoironia, eccede continuamente, ma pure si disegna limiti concreti, ed è questa un’altra sua gran qualità, oggi molto rara. Lui stesso dice: “Io sono un divulgatore, non un pensatore, mi attacco alle cime letterarie e le trasformo in un’ora e mezzo di spettacolo. Non fuggo però mai dalla realtà. La fantasia non è volare a vanvera nel cielo, per me vuol dire stare fermo con i mezzi guanti e lo scaldino e immaginare Gerione, il serpente volante. Per quello che mi riguarda acchiappo Balzac e vo a dormire con lui, che è il vero amore”.
La divisione in brevi paragrafi in Alfabeto Poli esalta le capacità pirotecniche del discorrere che procede per continui apici e che a volte raggiunge vere e proprie vette, come per la voce Attore: “Questa è la grande forza italiana. Non abbiamo avuto Shakespeare, Molière, Calderòn de la Barca. Ma abbiamo i comici: la nostra tradizione sono Petrolini, Mussolini, Fellini, sappiamo vendere il niente, siamo sempre andati in giro a raccontare Arlecchino e Pulcinella. Siamo come i preti, viviamo sulle chiacchiere”.
Poli apre continuamente una miriade di porte, ci indica strade e filiazioni, dà un senso vivo alle tradizioni minori e al loro intreccio con i grandi autori. Sono passati importanti, che troppo spesso la polvere del contemporaneo occulta e cancella, ma che a volte, come in questi casi, sembrano sopravvivere e aiutarci a capire qualcosa in più dei tempi che viviamo.
Aquiloni, l'ultima produzione di Poli, è in turnè nei teatri italiani. Fra le prossime date segnaliamo quella di Bologna all'Arena del sole, dal 30 gennaio al 2 febbraio.
[Da "Lo Straniero", N. 161 Novembre 2013]