Di Franco Quadri avevo potuto sentire soltanto i suoi echi. Quando lui moriva, esattamente quattro anni fa, avevo cominciato da pochi mesi ad avvicinarmi al teatro e alla scrittura sul teatro. E subito avevo percepito questa presenza monumentale: la prima volta che vidi il suo nome fu sopra ad alcuni segnalibri della neonata associazione a lui intitolata, sparsi al Festival di Santarcangelo; poi le continue citazioni dei suoi scritti in tutti i libri di teatro che leggevo; infine l’interesse e la ricerca per i suoi testi e l’amara constatazione che nessuno li aveva mai raccolti e pubblicati. In mezzo, la scoperta che la sua personalità era legata a quasi tutto ciò che finiva vicino a me a causa di quell’innamoramento bruciante per il teatro, dai libri Ubu agli artisti che con lui hanno avuto uno stretto rapporto ai critici e studiosi che sono cresciuti e hanno lavorato insieme a lui.
E alla fine dello scorso anno è arrivato il nuovo numero di Panta, una monografia a cura di Renata M. Molinari dedicata a Franco Quadri da Bompiani, casa editrice dei suoi inizi. Un volume che mi ha fatto scoprire del tutto il Franco Quadri critico, organizzatore, direttore, editore, eccetera. In una parola, un agitatore, nel senso che ha agitato qualcosa di stantio com’era il teatro italiano degli anni ’60, “sporcandosi le mani” per farlo muovere a lungo e stando sempre dalla parte del rinnovamento e mai del monumento.
Franco Quadri era una figura estremamente eclettica, e il nuovo volume di Panta è costruito ad arte per farci conoscere ogni lato della sua personalità grazie ai contributi di numerosi registi, attori, studiosi, organizzatori, semplici amici e teatranti di vario genere che avevano un ricordo personale di Quadri, ora impresso sulla carta: dal bel percorso di Gianandrea Piccoli sul giovane Franco Quadri che già riusciva a ricreare sulla pagina lo «spessore tridimensionale» degli spettacoli cui assisteva, alla commossa intervista a Gillo Dorfles che distingue il teatro italiano prima e dopo Franco Quadri; dal dettagliato ritratto di Massimo Marino sul Franco Quadri “critico militante” che riesce a compiere un unico discorso in tutte le attività teatrali di cui si occupa, al poetico quadro di Giuliano Scabia che parla della capacità di Quadri di «andare verso» il teatro e all’ordinato ricordo di Serge Rangoni che ammira come Quadri amasse e considerasse il teatro in quanto «linguaggio universale», l’intero volume offre un’esplorazione completa e appassionante di ciò che è stato Franco Quadri; è un caleidoscopio che mostra tutta la vitalità, l’energia e la passione che animavano quest’uomo. Un libro che mette una gran voglia di fare, almeno per chi si occupa in qualche modo di teatro, e si sente piccolo di fronte all’intera vita di Quadri passata a recensire, relazionarsi, sostenere, organizzare, premiare, dirigere e pubblicare. Fino ad arrivare alla toccante intervista finale – l’ultima conversazione pubblica di Quadri – che più di ogni altro contributo del volume riesce a trasmettere l’ironia e l’ardore che hanno accompagnato quest’uomo per tutta la vita.
Non mancano, nel libro, oltre ad alcuni dei più piacevoli testi di Quadri (tra cui La solitudine del critico che evoca conflitti ancora attualissimi) e un delizioso e ricco apparato iconografico che incornicia le pagine con appunti, biglietti, fotografie, feticci e cimeli (a cura di Jacopo Quadri, alcuni dei quali qui riprodotti), un’esauriente biografia introduttiva e un rigoroso ordine dei testi nell’ottica di una cronologia dei ricordi, partendo dal contestualizzare i primi anni della sua attività nel nascente nuovo teatro italiano e il suo linguaggio che per primo lo ha interpretato; passando alla sua attività divulgativa da Sipario a Ubulibri e all’organizzazione di repliche di grandi compagnie come il Living e l’Odin, portandoli per la prima volta nel fermento milanese degli anni ’60 e investendo talvolta il suo patrimonio personale; e arrivando alle attività di critico su Panorama e La Repubblica e di organizzatore e direttore di rassegne, festival e premi. Sempre restando del tutto indipendente, come sottolinea Oliviero Ponte di Pino, e «avanti anni luce», come lo giudica Silvia Bergero, nel suo essere «portatore di fenomeni teatrali», come efficacemente lo descrive Luca Ronconi. Tant’è che oggi, afferma Lorenzo Gleijeses, siamo tutti «orfani di Quadri». E qui si apre il discorso più importante: qual è l’eredità che Franco Quadri lascia al teatro italiano? Perché, dopo la sua scomparsa, ciò che si muoveva pare essersi fermato?
Una pagina dei "quadernetti" di Quadri, nei quali il critico agli esordi annotava impressioni e dati tecnici degli spettacoli
Sono soprattutto gli interventi finali degli artisti (fra i tanti Mimmo Borrelli, Romeo Castellucci, Saverio La Ruina, Stefano Massini, Marco Martinelli e Ermanna Montanari, Armando Punzo, Roberto Wilson) a tentare di giungere a qualche conclusione, senza che questa ovviamente sia univoca, come d’altronde constata Luca Ronconi, che ha avuto con Quadri il rapporto forse più consolidato e lo sguardo più lucido: rispondendo a Ponte di Pino che gli chiede il bilancio di tutte le battaglie di Quadri, Ronconi dice che «basta dare un’occhiata alla condizione del teatro oggi. La domanda è aspra, la risposta non è confortante».
Forse perché il cambiamento di sistema portato da Quadri è stato così radicale che risulta difficile da ripetere, o forse perché siamo in un mondo più globalizzato e frammentato in cui si fatica a portare qualcosa di nuovo che stupisca e non si ripeta, ma un altro agitatore come Franco Quadri non è mai arrivato. E questa mancanza ha fatto sì che il teatro italiano, come accenna Ronconi, sia ripiombato in uno stallo dal quale pare difficile uscire. Il volume Panta svolge però il compito di raccogliere tutti i frammenti sparsi da Quadri nella sua vita e di stimolare i suoi insegnamenti, lasciando le vecchie generazioni con un ricordo e le nuove con un ritratto esemplare. In attesa che qualcuno decida almeno a pubblicare i testi completi di Quadri per tornare a far circolare le idee preziose e le spinte che oggi mancano.
Si ringraziano Cristina Ventrucci, Jacopo Quadri e l'Associazione Ubu per Franco Quadri per la gentile concessione delle immmagini