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Farsi luogo. Varco al teatro in 101 movimenti di Marco Martinelli hello
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Farsi luogo di Marco Martinelli è uscito alla fine del 2015 per Cue Press, impresa editoriale digitale e cartacea che sta costruendo un importante catalogo. Il volumetto è concepito come una soglia, 47 pagine che recano come sottotitolo Varco al teatro in 101 movimenti, dunque si tratta di un punto da cui entrare per iniziare col teatro e, in seconda battuta, per conoscere la poetica del Teatro delle Albe, approcciandosi in particolare al punto di vista del suo fondatore, il drammaturgo e regista Martinelli.

Ci sembra necessario insistere sul carattere di un testo teorico scritto da chi costruisce mondi drammatici, perché Farsi luogo è dichiaratamente uno scritto di poetica in cerca di un interlocutore, in grado di porsi anche come teoria del teatro e dunque di dialogare con altre teorie, con visioni della scena che non sono del tutto sovrapponibili agli spettacoli di chi le ha prodotte. Martinelli parla a giovani potenziali drammaturghi registi attori o spettatori, ma anche ai “teatri e i suoi doppi”, agli attori biomeccanici, ai teatri epici, alle nuvole di Pasolini e Totò.
Farsi luogo evoca a ogni pagina coppie di termini opposti: invisibile/visibile, utile/inutile, eresia/ortodossia, sapere trasmissibile/lampo non trasmissibile, vittime/persecutori, la risata/il pianto. Nel Farsi luogo di Martinelli e delle Albe «si ride della contrapposizione fra le parole», si cerca un teatro capace di fare convivere gli opposti, di dare legittimità a quel processo di discussione confronto e conflitto che non espunge uno dei due termini, ma crea una tensione.
Farsi luogo è una costellazione di esempi, spunti, suggerimenti, depositati strato per strato negli oltre trent'anni di lavoro delle Albe e che qui riaffiorano come tracce di un fiume carsico da scoprire, pensando alla «Storia del Teatro come un labirinto di segni dispersi nell'aria», come si leggeva nell'introduzione della raccolta di scritti e interventi Primavera eretica (Titivillus, 2013). Si trovano alcuni nomi: Leo e Carmelo, l'Odin e il Living, Grotowski e Kantor, Testori e Streheler, Nietzsche, Martin Buber, Nicolás Gómez Dávila, Josè Emilio Pacheco, Dante. Altri se ne potrebbero rintracciare autonomamente procedendo per assonanze, raccogliendo spunti, formulando ipotesi.
Farsi luogo è però forse, prima di tutto, uno sguardo che proviene dal teatro lanciato al tempo del “pantano”, per usare una formula cara al drammaturgo Martinelli; è un'analisi sul luogo dal quale si crea, tenendo un piede saldo sul terreno dell'esperienza ma cercando in ogni pagina di aprire anche spiragli ideali per rispondere alla domanda: Che fare? Martinelli prende le mosse dalla consapevolezza di una mancanza, quella del coro che fonda il teatro. Scrive che il coro ce lo dobbiamo reinventare, afferma che la macchina della società dello spettacolo va inceppata quotidianamente, sottolinea l'urgenza di una pedagogia come strategia di sopravvivenza degli adulti, sempre più adagiati sul «possibile», e di un teatro che sia esercizio di cittadinanza, anche nella equa gestione organizzativa. Tensioni che nel Farsi luogo di Martinelli corrispondono ai cori dei Palotini di Padre Ubu de I Polacchi, ai plotoni della non-scuola e delle Eresia della felicità, al Teatro Rasi e al suo essere fatto luogo, ormai dal 1991, al meticciato artistico antropologico dei molti Ubu in giro per il pianeta, sottotitolo di un altro importante libro, Suburbia, che nel 2008 raccontava gli Ubu messi in scena da Scampia a Chicago a Diol Kadd, preceduto da Jarry 2000, sempre edito dalla Ubu (qui per un'estesa bibliografia).

Al termine della lettura, si sarebbe tentati di estrapolare gli elementi di tale teatro che si fa luogo, proprio come gli elementi di un teatro epico o povero. Troveremmo al primo posto l'esigenza di dubitare e di dare spazio alla contraddizione, non accontentandosi del «possibile». Vedremmo un teatro che guarda come suoi momenti fondativi all'antica Grecia, alle feste medievali, al dialogo fra Majakovskij e Mejerchol’d nei pressi della Rivoluzione d'ottobre, quando le arti della scena erano parte centrale della vita quotidiana delle persone. Un teatro che adotta la «spirale» come sua rappresentazione simbolica: non la linea di chi ha qualcosa da comunicare a qualcun altro che recepisce, non il cerchio di chi sta dentro e chi sta fuori, ma l'andamento per spire, che potrebbe contenere sia cori che monadi (come si postulava a Santarcangelo 41, edizione diretta da Ermanna Montanari) e che permetterebbe di includere chiunque lasciando sempre aperto un varco. Così facendo avremmo però delineato solo alcuni tratti di un discorso, ma non casualmente Farsi luogo è scritto come fosse in attesa di interlocuzione, a volte anticipando obiezioni, spesso dando forma scritta a parentesi, a divagazioni, a note biografiche («sia detto fra parentesi»).



Farsi luogo è dunque una forma del discorso che invita a rispondere, e così operando invita anche a porsi una domanda sul luogo dal quale si scrive. Si scrive prima di tutto avendo messo a punto una sintassi propria. Marco Martinelli e le Albe parlano da dentro una spirale, chiamano a raccolta, invitano a entrare, sollecitano la creazione di raggruppamenti. Fabbricano un mondo capace di dialogare con altri mondi poetici, con l'ambizione di raccontare discutere criticare il mondo che ci circonda e ci comprende. Scelgono una forma del discorso che include e che avvolge. Sta a noi proseguire, mettendo a fuoco gli elementi del nostro dire, testando le nostre forme, mettendole alla prova della sempre più stringente necessità di farsi luogo.


di Lorenzo Donati


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