Ipercorpo è prima di tutto un libro, nato da una conferenza organizzata a Roma nel 2004 da Paolo Ruffini e Alessandra Sini. Ipercorpo diverrà poi un evento, distribuito su alcune serate al centro sociale romano Kollatino underground nel febbraio 2006. In ultimo nasce la rassegna: cinque gruppi (Città di Ebla, Cosmesi, gruppo nanou, Ooffouro, Santasangre) si accordano per esportare il nome, Ipercorpo si replicherà in altri contesti e potrà essere “comprato”, a patto che siano sempre presenti i “fondatori”. Ecco allora “Iperscene”, libro che fotografa le cinque compagnie. Oggi siamo di nuovo a Forlì, sempre ai magazzini Interstock, per una nuova e forse ultima edizione. Ci accolgono i direttori artistici, Claudio Angelini (Città di Ebla) e Davide Fabbri (Elicheinfunzione).
Come nasce la scintilla per la rassegna Ipercorpo?
C.A. Si tratta di incontri. Il primo è avvenuto qui a Forlì, al festival Crisalide di Masque teatro. Il secondo grazie alla spinta di ricognizione sul nuovo dei Santasangre, organizzatori della rassegna originaria a Roma. Da sempre Ipercorpo è stato mosso da una necessità forte, credevamo nel progetto ed eravamo disposti a muoverci pur in condizioni economiche difficili. Era importante individuare traiettorie comuni per cinque gruppi molto diversi fra loro, per iniziare un discorso.
Parliamo di Forlì e dell’edizione del 2007.
C.A. Quando abbiamo deciso di provare a spostare Ipercorpo, si è pensato che ogni nuova edizione dovesse avere una fisionomia che rispecchiasse la compagnia ospitante. Oltre ai cinque gruppi, l’anno scorso invitammo Paola Bianchi e Ivan Fantini, e organizzammo conferenze sul tema dell’immagine. Quest’anno ci saranno i danzatori Carta-Vandewalle, che ho conosciuto in un progetto di residenza a Mondaino voluto dai Nanou, Antonio Latella ad aprire e Giovanni Lindo Ferretti in chiusura. Poi ci siete voi, invitati per provare ancora di più a creare un ponte di pensiero e di approfondimento fra le opere e il pubblico.
Perché Latella e Ferretti?
C.A. Antonio è un mio maestro. Ha pensato la Medea azzerando un percorso, quando già lavorava per gli stabili. Se n’è andato a Berlino e si è pagato la sala prove dicendo: «Ho sempre fatto corpo a corpo con gli autori adesso azzero il testo e lavoro sul corpo di un'attrice». Non è un grande nome che vuole gonfiare la rassegna, tutt’altro.
D.F. Stesso discorso vale per Ferretti. Si tratterà di una sorta di conferenza a ingresso gratuito, anche se immagino che qualcosa canterà. Sono stato suo allievo alla Bottega di Bologna, Giovanni è uno di quei maestri da cui non ti puoi aspettare una pedagogia, ma ne rispetti il metodo e la disciplina. Per questo è chiaro che la sua presenza non vuole essere un revival punk.
E per quanto riguarda le altre presenze musicali?
D.F. E’ un’indagine aperta sul mondo dell’elettronica e su alcune linee che la percorrono. Credo che nell’elettronica sia più facile individuare una sperimentazione senza troppe derive estreme. Ospiteremo Agf, musicista e poetessa berlinese che lavora col computer e canta mentre suona col laptop. Ci saranno i musicisti che collaborano con le compagnie, tutte con un percorso musicale e professionale autonomo. Vorrei sottolineare è che a Ipercorpo ci sono due linee demarcate, quella musicale e quella teatrale. Oggi si parla molto di transdisciplinare, o dell’artista che crea alle cinque del mattino. Per resistere al presente bisogna invece ripensare alla disciplina, al covare le cose, al contatto caldo, all'incontro. La transdisciplinarietà esiste se le discipline sono tutte disciplinate, altrimenti c'è la contaminazione, che copre le zone dove non si arriva producendo vecchi ready-made.
Che rapporto c’è tra il territorio e Ipercorpo?
C.A. Forlì è una città difficile. Ci sono tante compagnie dilettanti, due grosse strutture come Accademia Perduta e Elsinor, poi c’è il Teatro Diego Fabbri che ha una delle stagioni di prosa più aperte in Italia. L’anno scorso il nostro pubblico era composto da pochi forlivesi. Con le istituzioni, invece, stiamo dialogando in modo proficuo. Abbiamo una convenzione con il comune e un piccolo sponsor privato. Sui privati bisognerà investire nel futuro, e le istituzioni dovrebbero porsi come mediatrici tra cultura e possibili sostenitori privati.
Torniamo al network di cinque gruppi. È nato un confronto reale? Non rischia forse di essere cavalcato come nuova ondata, e in seguito abbandonato come spesso accade?
C.A. Non avverto questo rischio. Ipercorpo nasce come percorso, l’idea del network ci è stata attribuita dall’esterno, per noi nasce da una semplice riunione qui a Forlì lo scorso anno. Poi con Marco dei Nanou e con Luca dei Santasangre è nato un confronto stretto, mentre con altri non si è creato lo stesso dialogo. Si pensava di ospitare la rassegna nelle città delle diverse compagnie, ma la cosa non si è verificata. Ipercorpo è rimbalzato da Roma a Forlì, non è proliferato, quindi questa edizione potrebbe essere l’ultima. Una bella parola è autodeterminazione. C’era la volontà di costruire un percorso comune, di conoscersi, rispettando le differenze dentro alle affinità di metodo.