Come nasce Città di Ebla?
Al momento della fondazione della compagnia, uscivo da una forte esperienza di lavoro con Antonio Latella, molto incentrata sulla drammaturgia classica e sull'uso dei corpi. Anche Città di Ebla, prima di Pharmakos, aveva studiato la destrutturazione del testo, basta pensare ai lavori Otello e Wunderkammer. Ci siamo resi conto di avere un grande rispetto per la parola, al punto di avvertire l'esigenza di eliminarla dalla scena. Pharmakos quindi riparte dai corpi, e ha avuto una gestazione iniziale di solo studio teorico.
Andiamo quindi subito a Pharmakos...
Lo spunto iniziale è una constatazione: la dicotomia forte tra il corpo medico, che è forse quello del presente, e il corpo rituale. Il primo è controllato, parametrizzato, anestetizzato. É un corpo che deve stare in vita, è un corpo solo. Il corpo rituale, invece, è sporco, pieno di energia esplosiva. É un corpo votato al sacrificio e rende conto di una dimensione comunitaria. Da questo spunto abbiamo cominciato a ideare delle possibilità di incrocio delle due prospettive, all'interno del teatro, che per me è uno spazio di accoglienza per molteplici forme. Ci siamo resi conto che il progetto non era risolvibile nell'ambito di un solo spettacolo, per questo abbiamo suddiviso Pharmakos in più “movimenti”: ci tengo a definirli così, si tratta di esposizioni di un corpo che si muove in corrispondenza concettuale con il suono, sviluppato con una precisa idea poetica da Davide Fabbri di Elicheinfunzione.
Queste sere vedremo il secondo movimento, ma il progetto ha già sviluppato altre parti.
Sì. Per incidenze legate a occasioni produttive abbiamo sviluppato il primo movimento, Embrione, un nucleo che contiene già in forma “poco espressa” tutti i temi del progetto. Il lavoro contiene una prima parte di approccio al rito, una seconda di trasfigurazione del corpo in oggetto operante, come una macchina, e una terza che presenta un corpo politico visto nel contesto dei campi di sterminio nazisti: non c'è più la dimensione comunitaria, il corpo è liberamente uccidibile da chiunque e apre la questione biopolitica dell'eutanasia, tutt'ora irrisolta. Ci sono state anche delle occasioni di esposizione dei movimenti tre e quattro, mentre ci manca l'ultimo movimento che andrà verso una soluzione di essenzialità. Quello che vedrete a Forlì è l'atto barbaro, un corpo malato con possibilità di aprire squarci, che fanno mutare la percezione della realtà avuta sino a quel momento. Penso sia un lavoro sul pubblico, sul fatto che una comunità istantanea di persone in quel momento sta guardando.
Come lavorate in fase di costruzione?
Io mi occupo di organizzare il materiale, in continuo dialogo con l'autonomia creativa degli altri artefici. Davide è responsabile dei suoi materiali, così come Valentina Bravetti che infatti è citata nella locandina come autrice delle “traiettorie”. Il progetto ha poi una forte base teorica alle spalle. Sono stati cruciali studi di Agamben, Illich, Frazer, Girard, Foucault ecc. Quello che ci preme, però, è che questo sostrato non teatrale rimanga a livello di “scintilla”. Pharmakos non vuole esprimere tesi, non ha valore pedagogico.
Eppure la valenza politica del tuo lavoro è forte...
Assolutamente. Per me il teatro è immediatamente politico, ma non si deve occupare di politica. Per questo dico che la teoria, la base concettuale, deve rimanere sottotraccia. Il nostro teatro possiede efficacia qualora sul piano concettuale primeggi un piano che potrei definire “emotivo”.
Siete una compagnia dalla traiettoria recente, avete però uno spazio a disposizione, e organizzate un evento come Ipercorpo. Ha senso parlare di “teatro indipendente”?
Dipende dal significato della parola. Se pensiamo al sistema economico, alla “vendibilità” per esempio del sistema dell'arte contemporanea, allora devo dire che siamo tutti dipendenti. Lo stato esiste per questo: se dice di volersi occupare di cultura ci sono delle voci che la cultura da sola non copre. Da un altro punto di vista, invece, siamo eminentemente indipendenti: fondare una compagnia significa produrre con i tuoi tempi, secondo la tua estetica, senza sottostare a vincoli già impostati da altri.