INTERVISTE > Elisa Gandini, le sottili pieghe del corpo
Da tre anni, dopo aver lavorato come scenografa per l’Othello con i Città di Ebla, Elisa Gandini ha iniziato un percorso creativo che riunisce l’arte visiva e l’azione teatrale. Dentro il laboratorio dell’artista le sue creazioni disegnano uno spazio al limite, dove una memoria personale prende forma attraverso oggetti di metallo, bambole come barbie che hanno un cordofono al posto della testa, frantumi di corpi in ceramica disseminati nella stanza. Dopo Katise, Peristalsi e Minima Carnalia, Scatola Madre è rappresentazione agita dell’ultima fase della formazione delle membrane cellulari, linea di fondo degli studi di Elisa: «Questo processo richiude allo stesso tempo le idee di crescita, moltiplicazione e morte, attraverso il disfacimento e la ricomposizione delle membrane. Lo studio sul corpo organico si riflette poi nelle performance, che sono l’esplosione dei sensi figurati che da questa derivano». Ognuno degli studi di Elisa è ricreazione di un organismo, che pulsa, trasmette sensi e sentimenti e si relaziona ai suoi osservatori attraverso un’empatia non mediata. «Scatola madre indaga il concetto di Madre in senso biologico e perimetrale, come luogo che ospita e fa scaturire una vita ma allo stesso tempo trasmette il destino della morte. L’idea si relaziona primariamente a un’indagine musicale da diversi anni porto avanti con Dario Neri, che per questo studio ha costruito con me un carillon umano, una macchina sonora con una struttura di ferro, che verrà circondata da lamine che filtreranno il suono, rendendolo più corporeo, concreto…» «È un suono che stabilisce una presenza, ridisegnando lo spazio nel quale si colloca». Ma anche la parola trova una sua ragione nel progetto di Elisa, che da parola scritta (nel secondo studio), a registrazione diffusa (nel terzo) prende anch’essa una forma fisica attraverso le macchine di Dario: è la lettura di una fiaba interpretata dalla madre di Elisa, che si manifesta invisibilmente, rendendosi nel concreto punto riferimento per una creazione e per una storia personale, a cui ci è concesso di assistere attraverso il delicato filtro dell’arte.