Vi sono maniere di abitare l'universo espressivo della musica che mirano a creare un'ambiente in cui proliferano le evocazioni, in cui l'ascolto si slabbra e insieme si condensa percorrendo le nervature di una struttura espansa, manipolata nel tempo stesso del suo farsi ascolto.
All'interno di questo contesto AGF scavalca d'un balzo la forma abusata e profondamente connaturata alla natura umana della canzone, evadendo dalla struttura ricorsiva e dal suadente, rassicurante ritorno di questa modalità.
In concerto AGF propone l'utilizzo di una vocalità che si fa anche parola, materia insieme sonora e significante, che più che raccontare lacera, straniandosi dalle sue fila e stralciandosi in forme tronche, mutilate. Parola che diventa incandescente nel suo incontro con la voce dell'artista, intersecando un asimmetrico tratteggio di linee melodiche. Non a caso la musicista si definisce poem producer, non di semplice poesia, quindi, ma dell'incontro di questa con una processualità, anche se rotta, campionata, così come lo sono gli stralci di ciò che lei sceglie di rendere intelleggibile, tra bocconi di senso e ritmi spezzati.