Una relazione d'amore e d'ombra
A e B sono un ragazzo e una ragazza vestiti di nero, e il simbolo grafico dell'addizione segnala una relazione amorosa che si interromperà a causa della guerra. Nel mezzo c'è un cubo, un'intelaiatura di legno con pareti di carta strappate e riapplicate, che divengono superfici di proiezione, muri di un bunker che protegge dalla barbarie esterna, perimetri sentimentali dove abita il ricordo dell'amato. Il giovane gruppo romano Muta Imago sorprende per la rara capacità di costruire un linguaggio autonomo, padroneggiato con ironia e incanto: dal teatro delle ombre vengono riprese le tecniche, dalla proiezione della figura umana intera, rimandata sulla faccia frontale del cubo, all'utilizzo delle sagome a bastoncino, come quando l'ombra dell'amato cammina da sola verso la guerra, incrocia boschi che diventano rami tentacolari, e infine si scontra con un soldato che spara. Per Muta Imago è evidente che l'ombra possiede un'anima: sarà per questo che lampadine e fogli di carta bastano per costruire un mondo. In audio, intanto, ricostruzioni di cronache belliche colorano l'atmosfera, tra l'altro marcata da immagini documentarie di schiere in marcia, e altri suoni evocano l'evoluzione dell'intreccio: passi sulla ghiaia, rumore di acque, esplosioni. I due artefici entrano ed escono da molteplici piani di finzione, “attori” visibili che brindano alla loro unione ma anche sagome per la proiezione, manipolatori che agiscono fonti luminose ma anche personaggi in marcia con un bastone sulla cui punta sta una lampadina, imbracciato come fosse un fucile. Poco prima di dividersi, i due amati ci avevano riportato alla nascita della pittura secondo Plinio il Vecchio, a quella silhouette tracciata seguendo il contorno dell'ombra del capo. La ragazza ritaglierà la figura scura ottenuta, e sul finale si annullerà in essa adagiandola sul proprio viso: il cubo viene inclinato dall'attore, luci e ombre svaniscono.
(a+b)³ di Muta Imago (Zoom Festival – Teatro Studio Scandicci)
Non è facile capire esattamente cosa stia succedendo tra i nuovi gruppi teatrali: sono molti (forse troppi), sono sparsi in tutta Italia e appaiono tra loro tanto diversi e difficilmente accorpabili (per fortuna) in tendenze ed etichette. Qualcosa si sta muovendo, i gruppi iniziano a conoscersi e a organizzarsi, piccoli luoghi si radicano e si ricostruisce lentamente un fragile ma tenace circuito sommerso, che sembrava negli ultimi anni completamente spento. Qualcuno se ne è accorto e così aumentano, tra festival e stagioni teatrali, situazioni in cui poter vedere i nuovi gruppi. Pochi hanno comunque voglia di rischiare e nei casi migliori “i giovani” sono ospitati in qualche sezione “ghetto”, magari invitandoli a mostrare il lavoro per non più di una mezz’oretta. Ma qualcosa si sta muovendo davvero e a fare un elenco delle nuove realtà un briciolo emerse, non è difficile arrivare a una quarantina di nomi.
Il festival Zoom, organizzato al Teatro Studio Scandicci da due giovani compagnie (Teatro dell’Esausto e Gogmagog), è stata una buona occasione per scoprire e rivedere alcuni tra gli spettacoli più significativi dell’ultimo anno. In particolare ha colpito (a+b)3 di Muta Imago, una compagnia romana, nata due-tre anni fa e composta da Claudia Sorace, Riccardo Fazi, Massimo Troncanetti.
Una coppia di giovani abitano un cubo coperto di teli bianchi, che di volta in volta vengono strappati o spostati, piegati o stesi. La vicenda è semplicissima, una Lei e un Lui, “a” e “b”, si preparano per uscire, indossano l’abito bello, ma sono costretti a separarsi perché è scoppiata la guerra e b deve partire soldato. Dopo alcune vicessitudini il ragazzo viene ucciso e la donna rimane sola ricevendo l’ufficiale lettera di condoglianze. La narrazione è dunque lineare e per molti versi archetipica, perché intreccia, in modo per nulla pretestuoso, racconto personale e storia collettiva, riportando l’intromissione tragica della guerra all’interno di semplici rapporti umani. Ma ciò che colpisce di più è la costruzione raffinata di una drammaturgia che racconta senza parole, di una narrazione che utilizza una grande ricchezza di modalità espressive, senza cedere al virtuosismo e alla maniera.
Oltre alle due presenze in carne ed ossa, il racconto è composto da un utilizzo vario e articolato di ombre e figurine. Come fossimo in un territorio mitico, si circoscrive sulla tela - prima della partenza in guerra - il profilo dell’amato, riempiendolo di nero. Parte il corpo ed è come se rimanesse l’ombra, unico feticcio amoroso da ritagliare e custodire. Ma il rapporto tra ombre e corpi ha incessanti sviluppi, gli strati si sovrappongono continuamente e può accadere allora che l’ombra dell’amato compaia in mezzo a uno scenario di guerra, reso attraverso la proiezione di filmati d’epoca e che vi sia un dialogo muto con lo scambio di una sigaretta, capace di bruciare la tela e di riunire ancora una volta i due amanti.
Il forte impatto visivo non si esaurisce – come spesso accade – in una narcisistica contemplazione, perché ogni immagine risulta intrinsecamente legata alla struttura drammaturgica e ogni ombra, ogni ironico o lezioso dettaglio ritorna in un tono coerente e appassionante, che sembra guardare prima di tutto al fumetto, come immaginario, come narrazione, come possibilità di raccontare una storia. E davvero le poche parole presenti nello spettacolo sono soprattutto da leggere, perché scritte sulla scena o addirittura proiettate sul fumo di una sigaretta scambiata tra i due innamorati. Ecco allora una narrazione che permette ampio spazio alla visione, una storia semplice e densa che lascia campo libero alle associazioni senza fuggire nell’astratto.
Con questo lavoro Muta Imago mostrano un linguaggio teatrale ricco di potenzialità e sorprese, un linguaggio visionario e inventivo, che senza perdere di rigore porta con sé una rara dote comunicativa.