Ciò che è appena narrabile non si rivela tale perché sfugge alla comprensione, ma perché si pone prima del racconto, nella sostanza espressiva e sonora che di questo racconto è materia. Così il Madrigale appena narrabile per voce e violoncello di Chiara Guidi e Scott Gibbons utilizza le voci per creare paesaggi emotivi e immaginifici, in cui la vocalità si svincola dalla referenzialità bruta della parola detta per inaugurare un'altra modalità della significazione.
Chiara Guidi ci introduce in un universo teatrale vocalico esploso che stupisce e singhiozza, che rallenta e si invola e sicuramente rapisce.
«Con il Madrigale non ci si trova di fronte a un problema di rappresentazione, ma di evocazione, esattamente come accade con la musica. Il cuore del lavoro è mettere in atto un'idea di voce, e a un livello conseguente anche di testo, come una partitura musicale. In questo modo il testo che si sostanzia in scena non è determinato da una trama riconoscibile, anche se si snoda attorno a un nucleo palpabile di senso ovvero l'incontro fortuito con un cane che vaga per una città. Lo abbiamo definito "appena narrabile" non perché ci sia stata una riduzione del testo ma perché attraverso un percorso laboratoriale e artigianale ci si è avvicinati così tanto al testo che lo si vede come al microscopio. Per questo non si possono ripercorrere i punti i salienti della trama o i suoi snodi narrativi ma si può com-prendere, si può essere presi emotivamente affidandosi al suono, alla percezione, all'ascolto».
«Accade allora come durante l'ascolto della musica: non si riconosce nel momento del dolore l'oggetto reale del dolore, nel momento della gioia l'oggetto reale della gioia, eppure si è partecipi emotivamente al dolore e alla gioia. La voce si presenta un qualcosa di inafferrabile, qualcosa che non è possibile definire se non pensandola come il punto di diramazione di un mondo che essa costruisce attorno. Se si pensa la voce come musica, come sostanza sonora, significa che la parola non può esistere senza un andamento musicale, senza una struttura tonale, timbrica, una sua sorta di partitura intrinseca. Da un lato è possibile liberare la voce dal veicolo della parola, oppure la si può lasciar appoggiare su questo, nel modo proprio della forma poetica: non per il significato che la parola porta ma per un'invenzione che la voce opera su quella parola. E' come se la voce porgesse sul piano emotivo l'essenza di quella parola senza spiegarla, e senza entrare su un piano di spiegazione logica. In questo modo non si è succubi del significato ma attraverso il suono lo si rinomina, lo si rifonda. Ecco allora che diventa possibile riconoscere un'emozione non dalla parola che viene utilizzata ma attraverso il timbro del suo presentarsi, attraverso la sua intrinseca tessitura musicale».
Per questo la voce viene trattata come materia plastica, come linguaggio che possiede una propria linea interpretativa al di là della codificazione verbale, ma anche come strumento che va affinato e conosciuto attraverso lunghe ore di studio.
«Questo lavoro è nato da un'esperienza di laboratorio che io considero esattamente un'attività di presa di coscienza, di consapevolezza. Non ha nulla a che vedere con la didattica, con lo spiegare ciò che si è acquisito, ma riguarda l'apprendere una consapevolezza e agire all'interno di un'idea. Mi piace molto il parallelo con una delle modalità conoscitive proprie dell'infanzia, che per comprendere smonta le cose. L'attività laboratoriale mantiene questa qualità di smontare le cose, infatti si chiama "tecnica molecolare della voce": si cerca nell'essenza più piccola per ottenere la consapevolezza più grande.
Attraverso il microfono vengono riproposte in scena quelle parti della parola che solitamente non si percepiscono, come il respiro, lo schiocco della lingua, la saliva, il riverbero della cavità orale. Poi però queste unità molecolari vengono ricondotte all'unità attraverso un lavoro di montaggio. Ed è anche la ricostruzione di un'armonia, perché la voce con le sue risonanze, con il suo stare in uno spazio e in un luogo, esige un atto di coscienza e di armonizzazione. Armonia fatta di relazioni, tra le parti minime e il tutto. In particolar modo tra le persone, perché è non si può lavorare con la voce senza tessere relazioni».