Interplay08, appuntamento torinese con la danza contemporanea, si è aperto quest’anno con Petite Mort, spettacolo della compagnia francese Artopie, che mette in scena una donna sola. La danzatrice Chinatsu Kosakatani compie un tortuoso viaggio nella propria femminilità attraversandone gli archetipi in cui l’immaginario l’ha fissata, ma anche le sue facce latenti, quelle più ruvide e non addomesticate.
Lei è sola in scena, è seduta, radicata al terreno da una gonna sontuosa di velluto verde, la percepiamo come su un trono, che la inchioda al terreno e insieme la nobilita. Essere donna è un ruolo, sono le attese della voce del popolo che la acclama e che attende da lei che rispetti un codice, un certo linguaggio. Nei suoi gesti affilati come coltelli si distingue una partitura inscritta nelle corde e nel sangue dalla nascita, e per questo calibrata, veloce, senza alcuna sbavatura. Movimenti geometrici e netti, che trattengono la sicurezza ammaliante dell’autocoscienza, del controllo perfetto del corpo: la donna vista dagli altri dentro ai suoi ruoli e alle sue parti, un’identità dentro alla quale lei stessa si costringe in maniera deliberata. Ma c’è un istante in cui si insinua una debolezza o un cedimento, un istante in cui il controllo del gesto sbava leggermente e poi sempre di più, fino a diventare una danza liberatoria e caotica, che non perde la sua grazia e il suo fascino. Un movimento nel quale non dominano più la geometria e la nettezza del gesto, ma un’energia distruttiva e vorticosa. È la donna che si libera, e da questa esplosione si eleva, e trova in sé una nuova forza dominatrice, ma anche si ritrae come un embrione dentro all’utero materno. Il trono la rende altera e inscalfibile, ma è solo quando lo rovescia a terra che la sua indole guerriera può svettare o sgretolarsi senza vergogna. Forse affidare al silenzio il suo urlo di guerra è la sua quotidiana, piccola morte. (Ilaria Sosio)