Si può fare. Se è vero che i musicisti sulla scena spesso non hanno fatto bene alla stessa, in questo Candide del Teatrino Clandestino cui è ‘allegato all’uscita’ un disco, c’azzeccano e parecchio. Pietro Babina è partito da Candide per giungere ad un autoritratto, anche musicale: è il bastardo, l’amico, che con la sua musica crea il Candide e lo accompagna senza mai abbandonarlo; mescola, confonde, graffia, racconta. La musica è esposta: Pietro Babina e Alberto Fiori, compositori ed esecutori, dal piccolo palco posto in mezzo agli spettatori, con chitarra, laptop e voce, scandiscono passo dopo passo la scoperta del mondo possibile, rizollando la stessa forma concerto, proprio come accade per la storia e la scena. Lo spazio sonoro aperto è grande, perturbante e imbarazzante nella sua ampiezza: il “bastard electro-pop” tanto di moda in questi anni torna a casa ripulito da quell’intellettualismo sonoro post-moderno fatto per accarezzare le orecchie e scivolar via. Un tentativo musicalmente anarchico e vero che è un segno forte: la necessità e la possibilità di creare un personale e diverso linguaggio; strappando la musica alla scena e viceversa, ricorrendo a una performance con cui altri musicisti, nel bel mezzo dell’azione, sono chiamati a esporre la propria visione del mondo, portando lo spettacolo nello spazio urbano, proprio come accade con un concerto. Candide è uno spettacolo, ma è anche un album; non una colonna sonora, ma 15 passaggi emozionali, musica che esonda in canzoni tra/sformate dall’elettronica, dal rumorismo e dalla voce di Pietro Babina.