La risposta di Oz è il suo trucco definitivo, un messaggio diretto e universale, fondato sul codice corporeo della mimicry: se le parole affondavano nel caos del corpo, l’artista inverte il flusso e trasmette la sua parola “salvifica” attraverso gesti elementari. Ma per funzionare, il suo messaggio deve essere inserito in un dispositivo più sottile: la macchina stereoscopica in cui un corpo fantasmatico riceve un’effimera sostanza grazie a uno sfasamento della percezione, una schizofernia dello sguardo che si riflette e produce la corporeità monolitica e impalpabile del potere. Lo stereoscopio è storicamente il primo dispositivo ottico in cui il piacere scopico coincide con una disciplina dello sguardo: per creare un’impressione di realtà, per esaudire i nostri desideri, esso gioca sui lapsus della visione e ci mostra la “consistenza” del nostro errore di prospettiva. Invece di nuovi organi di conoscenza, il mago ci fornisce una protesi per connetterci alla sua macchina e sognare il suo stesso sogno. Nella sua esuberante proiezione, però, egli svela anche la chiave per decifrare le dicotomie su cui si regge il suo regno paranoico; chiudendo alternativamente gli occhi, scopriamo che la sua immagine non è che la sovrapposizione di due incongruenze: il volto umano e quello osceno del potere sono inscindibili e complementari. Finché non ne siamo consapevoli il potere sfrutta questa doppiezza, ci costringe a vagare incessantemente da una polarizzazione all’altra: ma è proprio nell’intervallo che la sua immagine denuncia la propria natura schizofrenica e si apre la possibilità di scardinare la dittatura di smeraldo.
Tommaso Isabella