Il volto è una regione. E ha una sua geografia: le emozioni, le sensazioni, il senso trovano sulla sua superficie il luogo dove esprimersi. La parola è spenta: è caduto il suo fallocentrismo. Parla il volto; ed è più eloquente. Questo alfabeto muscolare è più forte, più alacre e comunicativo. Si può classificare in zone dove il senso troverà espressione. Il significante si può celare nell’arco del sopracciglio, nelle pieghe della bocca... La mimycry designa da una parte il mascheramento, dall’altra sottolinea la natura organica del manifestarsi di tale impulso. Il volto è una lingua, connotativa. Conserva della lingua parlata, però, la stessa capacità di mentire e modellare e istruire. Faccia a faccia apprendiamo, imitiamo, possiamo “negare, alterare o abbandonare la propria identità per fingerne un’altra”. Il mago-dittatore-attore succhia, ascolta, è straziato da richieste, confessioni, voci. Entrati nel suo mondo, però, dobbiamo tradurre le sue sensazioni: ma un occhio tradisce l’altro, un colore nega l’altro colore o sovrappone la percezione. Siamo a Emerald City.