A.A.A. Autogestione (arte, anarchia): se 1. nucleo (artisti, critici, performer) organizza da sé un evento, l’evento risulta di gran lunga migliore di tanti programmi già dati e impacchettati. Ieri Mirto Baliani dava i leit motiv di Clacson fra un’azione e l’altra, Pietro Babina correva sui lati della piazza, Davide Sacco lanciava segnali. La piazza era per loro un palinsesto, per noi un attraente rebus.
B. Bambolotti e bambini. Kinkaleri raccontano la catastrofe liberandosi però dal suo peso: non si smette di giocare di fronte a essa, ma si continua a immaginarla, a inventare storie, liberamente. Ieri i bambini correvano in piazza e si fermavano guardando con occhi tonti ogni strano fenomeno. Qualcuno, trascinato per un braccio dalla mamma, chiedeva insistentemente che cosa stessero dicendo...
C. Clacson. Lo Strepito di Fanny & Alexander sotto la porta di Clemente XIV, aria compressa diffusa sulla piazza, religione sonora d’arie e ouverture mozartiane cantate da clacson di automobili e camion, via d’ascesa e d’uscita tra le azioni performative della serata.
D. Dialoghetto. In piedi accanto al monumento Marco Martinelli legge con ferma dolcezza, al pubblico della serata, che l’Arte sta verseggiando con lo Stato e che balbettando prova a non far passare inutilmente il proprio turno. Ba ba ba ba ba ba. Il monumento è “ai caduti”. Ba ba ba ba.
E. Economia: è il valore dell’antieconomia. Abbiamo visto quasi venti eventi, nessuno dei quali retribuito (solo logisticamente e tecnicamente accompagnati), alcuni dei quali ben più significativi di tanti retribuiti. L’anno scorso girava voce che il cachet di alcune compagnie straniere stesse attorno ai 20.000 euro. Quest’anno non gira nessuna voce: SAPPIAMO che tutto Potere senza potere (i 20 di ieri, 30 invitati ai Rilasci lenti, 7 incontrare, 1 foglio e 1 radio quotidiani) è fatto senza UNA lira.
F. Fotocopiatrice. Presenza fissa e inamovibile, radicata in un angolo della piazza dall’inizio alla fine della serata. Ora muta, ora viva, sputa fuori le composizioni cartacee di Flavio De Marco, dopo aver faticato un’intera giornata per le quattrocento copie di Nero su Bianco.
G. Giudizio. Elevare l’indecisione fino a conferirle dignità politica. Porla in equilibrio col potere. L’indecisione non come incapacità di scelta, ma come tensione di apertura, come condizione e modalità di uno stare e indicazione di un altro possibile e concreto. Nessuno spettacolo da giudicare, ma respirare un’aria, partecipare, aderire oppure… lasciar perdere.
I. Ieri è successo qualcosa di importante. Qualcosa che a Santarcangelo non si vedeva da tempo e che da tempo non vediamo nemmeno in giro per altri festival. Una boccata di ossigeno. Riprendiamo fiato, pronti a reimmergerci.
L. Limbo: siamo ancora lì, nonostante la serata, sempre sospesi in un festival senza direttore, sempre con il terrore che cali qualche nome di richiamo che riporti all’ordine (e che traghetti il festival verso la morte definitiva). Senza ordine abbiamo visto l’incolto, la piazza finalmente abitata, il fermento di qualche discorso che comincia a circolare. La politica deve capirlo: non siamo imbecilli, non vogliamo la pillola spegni cervello. Adesso, dopo la messa in crisi, la “cultura” compia un atto!
M. Manifesto. Motus hanno scelto i compagni di viaggio per sfidare il Potere: Fofi, Morante, De Andrè. Sopra un palco azzerato e ridotto a terreno di piazza, la testimonianza del pensiero e dell’azione, il manifesto morantiano e la smisurata preghiera vengono pronunciati per un’adesione, non più simbolica, al rifiuto del compromesso e della corruzione.
N. Nettezza urbana. Piazza Ganganelli OPPURE Una piazza senza Ordine non è una piazza sporca. Una piazza dove l’aria è finalmente respirabile (qualche ora, poi di nuovo maschere anti-gas) è convivere in uno spazio pubblico. Le azioni non possono essere ambigue né corrotte, ma urbane e nette.
O. Occhio di bue: il dito indice di Potere senza Potere, guida per il pubblico, ignaro della scaletta della serata. Enorme faro piazzato sul palco a illuminare di volta in volta luoghi, volti, artisti, spettatori, tecnici, stagisti, leggii. Tutti raccolti dentro al cerchio di luce bianca.
P. Piazza. Per un pubblico attivo e partecipe, i vari spettacoli (che si animavano in maniera imprevedibile) erano disseminati in postazioni sparse: video sulle facciate di edifici, oratorie, performer attorno al monumento principale, strepiti e concerti sul palco, radio e altre azioni. Ciò costringeva a buttarsi in uno spazio condiviso, anarchico. Lo spettacolo risultava la piazza stessa, opera unica di un canto corale.
Q. Questioni. Tre domande? Radio Gun Gun ha scelto la festa come “questione pubblica” sulla quale riflettere. La politica (in)culturale parla solo di feste, feste, feste. Tre domande rivolte alla “piazza” per una festa “diversa”: Quando la festa è necessaria? Come non essere turisti a una festa? Con chi e contro chi si festeggia?
R. Radio gun gun, aprendo e chiudendo la serata, ha acceso le sue frequenze su piazza Ganganelli. Una sfida quotidiana per raccontare, testimoniare e “inculare le mosche”, registrando e remixando le tracce del Festival.
S. Sorpresa. Almeno per questa volta, dopo anni di continua prevedibilità (con sorprese, quasi tutte brutte), possiamo dire che c’era un margine di movimento, di incolto, di inaspettato. La scaletta della serata non era pubblica e le azioni si succedevano in vari spazi della piazza, sorprendendoci alle spalle, sotto un portico o sulla facciata di un palazzo, mettendo così in crisi il concetto stesso di partecipazione, dove la cura progettuale di uno spazio si problematizza con l’incognita della sua esposizione totale.
T. Traguardo è: guardare attraverso, prevedere e guardare oltre. Maratona del Teatro Sotterraneo: da Longiano a Santarcangelo, nessun premio. L’importante è partecipare. Gli attori corrono, avvisando la piazza del loro arrivo. Il pubblico si concentra attento intorno alla scena vuota, in attesa che si tagli il traguardo.
U. Umanoide: una pietra lanciata come un giavellotto a ricordare l’osso sospeso nello spazio che si trasforma in clava. Su un tappeto bianco, in uno dei punti in cui si apre la piazza, Francesca Proia si spoglia della scimmia e diventa essere umano. Alle spalle un burattinaio paraplegico consunto dal tempo accompagna il passaggio dall’età primitiva a quella umana. Entrambi condividono il fatto di non essere altro che qualcosa in rovina, di inabitato. Un vuoto.
V. Vortice. A differenza della solita ingessatura noiosa di spettacoli (anche belli ma slegati tra loro) ieri sera lo spettatore era al centro di un susseguirsi imprevedibile di eventi inaspettati. La reazione, se si creava, si svolgeva con tutti i suoi rischi e la sua vitalità, nel vortice di quello che si spera sia il germoglio di qualcosa di diverso.
Z. Stanno tutti troppo ZITTI. A parte un’area ancora in cerca di vita, ieri sera non c’erano né critici né operatori. Dov’erano tutti? Molti ad Avignone per la celebrazione dell’anno, per celebrare cioè un grande artista e per poter finalmente auto-celebrare il teatro nazionale. A Santarcangelo, dove si svolge la vera e terribile sfida dell’oggi, eravamo pochissimi.