Ci si comporta come se nulla fosse cambiato, in giro per l’Italia, e in particolare in giro per l’ostinatissima Italia dei festival, delle vacanze, del tempo libero liberato dalla fatica del pensiero. Non è che nel resto del tempo si pensi molto, si dirà, ma ci sono momenti in cui questo è più evidente e pesa di più. E quest’estate è uno di quei momenti.
Perché? Perché, nel mondo, le inquietudini crescono e le crisi avanzano – e se le principali sono energetiche e finanziarie, non sono da trascurare quelle politiche e, spesso, per diretta conseguenza, militari. Ma sono cose note, a cui si è fatto il callo da tempo, e che appaiono sempre lontane quando le nostre “possibilità di acquisto” non vengono toccate. Ma, per quanto anestetizzati dal consumo e dalla manipolazione del consenso, cioè dalla “pubblicità”; per quanto sfiduciati dal fallimento dei movimenti e dalla morte delle utopie (da decenni: non sarebbe ora di cambiar disco?); per quanto storditi – la botta finale! – dal suicidio della sinistra, di tutta la sinistra ma prima di tutto tutta quella che si è voluta “di governo e di opposizione”; per quanto abituati alla “normale” corruzione di tutto e di tutti e quindi anche alla nostra, che ci appare ormai così normale che nessuno ne parla mai e la prende mai nella debita considerazione; per quanto isolati nelle nostre sofferenze e insofferenze prive di degni obiettivi collettivi – tuttavia qualche cosa di nuovo è pur successo, che dovrebbe farci riflettere e che dovrebbe preoccuparci non solo come individui e come “famiglie” e clan e corporazioni, anche come collettività.
E’ successo che la lunga storia della miseria politica della sinistra ha prodotto quel che doveva produrre, e che da brave cassandre abbiamo, in pochissimi, da tempo previsto e denunciato. E’ successo che la destra – e che destra! – è andata al potere maggioritariamente e massicciamente. e fa i suoi sporchi giochi senza che, si direbbe, al paese anestetizzato interessi poi molto: “Francia o Spagna purché se magna”, si diceva nel lontano (lontano?) Seicento, anche se sono in pochi ad avere il coraggio di gridarlo spavaldamente. La destra è al lavoro e ce ne sta facendo vedere delle belle e ce ne farà vedere ancora tante e tantissime – in quel chiaro sistema di potere che consiste nell’alleare i privilegiati “storici” e gli arricchiti, dovunque essi siano insediati, nell’alleare i “poteri forti” più o meno occulti (per sintetizzare, nell’ordine: le banche, le mafie, le leghe – in un sistema economico che è da tempo, e mondialmente, più criminale che legale) e nell’occupare il disprezzato Centro, lo Stato, Roma, le istituzioni, piegando tutto ai propri privati e magari “federali” interessi. La sinistra, quel che ne resta e se è possibile chiamarla così tanto appare dimentica dei suoi caratteri costitutivi, annaspa appresso alla destra, e si direbbe che l’unica preoccupazione dei suoi vari funzionari sia quella di conservare i privilegi acquisiti, e null’altro. Non una parola di autocritica è venuta dagli artefici del disastro – che in altri tempi e luoghi si sarebbero sentiti moralmente costretti a fare harakiri. Non una parola di revisione, di analisi, di progetto: una perdita di identità secca e assoluta e, come regalo residuale, una piccola scomposta canea di scomposti barzellettari ed ex carabinieri, che pretendono di essere migliori della destra e osano farle la morale.
In tutto questo – ci avviciniamo alla nostra questione – sarebbe difficile pretendere qualche resipiscenza non dettata dall’opportunismo da parte dei funzionari dei festival che da decenni riempiono l’estate (ma anche ogni altra stagione e ogni piazza, teatro, arena, campo sportivo di ogni città e ogni paese) e che hanno seguito la linea del veltronismo, il cui trionfo sembrava eterno, del divertimento a oltranza, la linea che sembrava loro modernamente anzi eternamente vincente della cultura-spettacolo o dello spettacolo fatto passare per cultura, del “due al costo di uno” (arte più piadina), dell’accontentamento dei più e dei meno con fumanti e gorgoglianti minestroni indistinti, di “tutto fuorché pensare”, considerando il pensiero come il peccato più abominevole, della dittatura degli assessori alla cultura (in tantissimi casi i nemici principali di ogni cultura) in nome del consenso certificato come d.o.c. dai giornalisti (chiamarli critici è da tempo un’assoluta menzogna, e i critici lo sanno meglio di tutti) di “la Repubblica” e del “Corriere” (ma non più della più spompata delle rozze, quel “manifesto” che ha potuto tranquillamente unificare e far suoi per lunghi decenni i precetti di Zdanov e di Disney).
Ma, in tutto questo, gli artisti? Possibile che rinuncino così facilmente alla loro sacra funzione, che dovrebbe essere insita nel loro dna ed essere la loro prima vocazione, dell’osare di più, del dire il profondo e l’oltre e la disperazione o la speranza? Possibile che non avvertano neanche loro la diversità e l’urgenza del momento? Possibile che non si rendano conto dell’aria che tira?
Sono convinto che in realtà, sì, se ne rendono conto, ma che vale anche per loro il motto “Francia o Spagna purché se magna”, nei più “furbi” senza remore e senza dubbi, nei migliori con la bella antica scusa che l’arte è al di sopra della parte, che” io da solo che posso?”, che ci sono sempre stati per forza di cose committenti e padroni (e grazie all’accettazione di questa logica l’arte è oggi condannata ad avere sempre più padroni e sempre meno committenti), che ognuno per sé, che si può sempre puntare sui Super-Classici, che chi se ne frega della politika e dell’antipolitika, che il mondo va avanti e non c’è, a ben vedere, nulla di nuovo sotto il sole. E invece no, il mondo va avanti ma in modi nuovi e pessimi, e c’è anche chi dice che presto potrebbe anche incepparsi definitivamente; e ognuno di noi, ma soprattutto gli artisti veri, deve sentirsi responsabile come non mai nei confronti del disastro, e reagire in modi più chiari e più esemplari, imparare a dire di no e a non-accettare, a non-collaborare, a disobbedire, a rischiare, a collegarsi, e soprattutto a pensare nei modi adeguati ai problemi nuovi. Sono pochissimi a farlo, e naturalmente gli assessori e i festival continuano a spingere nella direzione della continuità e della complicità: tra produttori, distributori e consumatori di loto.
Forse ce ne ricorderemo di quest’estate, così simile e così diversa…