Questa frase è un assillo. Credo inoltre che sia un pensiero che ricorra comunemente, ponendosi da sempre in maniera frontale dinnanzi alla Storia. Ricorre perché è un vertice che immaginiamo, a cui segretamente si aspira forse, che invochiamo quando non capiamo più quello che ci circonda: in Emerald City, nel coro, sentiamo una voce che confessa: “vorrei perdere il controllo” per un attimo. Mi chiedo dunque se la perdita di controllo sia un attimo irreversibile o la sua funzione sia quella di aprire alla conoscenza in altra maniera e restituire la condizione di partenza migliorata nella coscienza di sé. La perdita di controllo è forse una fissazione dell’Occidente, mutuata dalle altre culture; una fissazione che dalla stessa sponda è però considerata pericolosa, diseducativa. Eppure se da una parte è l’educazione (quella del controllo) che la costringe, laddove invece dovrebbe guidarla, dall’altra è proprio l’educazione, quella scolastica, quella societaria e quella psicologica, che corrisponde al termine controllo, la base dalla quale avviene lo slancio. Il controllo è anche la Regola: per questa duplice accezione bisogna però portare un esempio: penso a Rimbaud; era possibile la sua poesia senza i Parnassiani? Da cosa sarebbero partite le sue capriole? L’Europa si era ammalata e diveniva più incatenante, come affrontarla? Di cosa armarsi? Oggi la malattia si è estesa, ed è catastrofica come in Mahagondi; ma come rimanere algidi o sommersi dai sensi di colpa, con quali occhi si può guardare questa catastrofe senza cadere in contraddizione? Ci si libera dal pensiero di espiazione, ci si libera, si aderisce di più a se stessi (suggeriscono i Kinkaleri). Eppure si è più incoscienti. Ma è questo grado di incoscienza che deve farci riflettere, noi che il controllo lo si mantiene, forse vigliaccamente, e trascinare il nostro sguardo lontano, in un paesaggio utopico. La perdita di controllo rappresenta, nella sua buona veste, l’utopia di un mondo salvato. Elsa Morante parlava di Felici Pochi, dinnanzi al resto del mondo popolato dagli Infelici Molti, di quei pochi che avevano perso ogni controllo per un esistenza ideale. La perdita di controllo è quello stato inebriato e naturale in cui si trovano spesso i bambini, quello stato che gli adulti invidiano e vogliono schiacciare, legare. Troppo spesso invece è attribuito a questo termine un’accezione negativa, medica: si parla di follia, di irascibilità, di contravvenzione. Ridotti in questo stato ci si è allontanati da un’idea alta dell’uomo, abbassandolo alle leggi dell’homo aeconomicus, politicus etc. Nascono dei bastardi come nel Candide dei Clandestino, cresciuti da bastardi, che ne faranno altri, credendo che questo sia l'unico dei mondi possibili e che tutto è per il meglio: si perde il controllo e si ristabilisce dopo una spirale di sofferenze e dolore. Anche la natura si è allontanata dall’uomo, oramai irraggiungibile se non attraverso la scienza (non gaia) e le sue sorelle. In à elle vide Teodora Castellucci stravolge questo meccanismo, liberando nei primi minuti tutta l’energia di una generazione. Ogni cosa nel gesto è studiata e controllata: la forma, come una metrica, tiene in piedi le strutture dell’inconscio, lo lascia vivere. É senza regole quello che stiamo osservando, ma è altrettanto vero il contrario. Chi se ne frega, ci dicono quei pochi minuti di danza. Ecco le nuove ombre sotto al sole della scena italiana. Ecco tutta la liberazione che credevano avere assopito: forse disordinata, forse incompleta, ma senza il timore della fine.
Con l’arroganza di un lapsus la perdita di controllo affiora, ma un lapsus è dentro o fuori la Regola? Credo che dovremmo chiarire questo, in positivo e manifestare appunto che il controllo oltre ad essere il frutto collettivo della società sia una forma di censura, di ignoranza e paura: autocontrollo. Non si tratta della distruzione della convivenza, a favore del solipsismo: la perdita del controllo è un atto, una presa di coscienza, che si oppone all’ottusità della storia.
É la paura che tiene lontani da questo atto di liberazione: paura di perdere e perdersi, e più si possiede più si perde, paura dell’altro che è spaventosamente esistente, paura di esser fuori di sé etc.
La perdita di controllo è vistosamente un gesto politico, per questo, chi governa ne ha paura, rappresentando un fantasma, uno specchio, un’alternativa possibile. Bisogna seppellirlo, nei secoli dei secoli dei secoli.
Nicola Villa