Abbiamo aderito a Potere senza Potere, non con un giornale del festival, ma con il volantino che tenete tra le mani. Un volantino non è un giornale, la carta riciclata sulla quale stampiamo non è stata comprata dal festival, siamo al limite dell’auto-produzione, in bilico tra una scrittura militante e il rumore di una manifestazione. Siamo partiti da una parzialità molto concreta e molto chiara, e ci siamo trovati circondati da altre parzialità, ma talmente generose e trasparenti da mettere in mostra tutti i loro organi e la mappa delle loro ossa. Stiamo parlando soprattutto di artisti (non tutti), ma anche di qualche organizzatore, direttore di festival, critico e di non addetto ai lavori. Le figure che hanno “fatto” Potere senza Potere non si esauriscono in questo pur articolato elenco di ruoli. Perchè, per una volta, i ruoli non erano la questione. Si tratta di parzialità che forse non si potranno mai unire, ma mettere insieme sì, in quel miracolo che rende l’insieme più grande della somma delle singole parti: un singolo organismo vivente, dove ogni cellula ha un nome preciso e ha il ritmo di un respiro che cresce e accomuna. Ogni minuto di questo lunghissimo festival, lunghissimo perché ogni istante era pieno di “vita”, quella sulla scena e nelle strade, ma anche la propria, gettata in un punto impreciso tra l’amore e la responsabilità, ogni minuto di questo lunghissimo festival è stato un passo verso qualcun altro, un passo che ha calpestato ponti nuovi.
Ma è successo anche qualcos’altro che riguarda una questione del tutto basilare. Il teatro di oggi senza il potere economico, gestionale e legislativo non esiste. Non esiste la possibilità di vivere al di fuori delle condizioni che qualcun altro (addetto o cadetto) pone sotto i piedi. Non stiamo parlando solo di architetture e portafoglio, ma anche di “comunicazione”, della possibilità che le relazioni tra l’opera e il suo esterno vivano in maniera fertile e vera. Eppure Potere senza Potere ha ottenuto facoltà legislative e ha deliberato: si farà una giornata “anarchica” in piazza, si faranno i “rilasci lenti”, si apriranno gli spazi di rappresentazione per incontri, si farà un foglio con il coordinamento, si farà una radio di piazza, si farà un allestimento video su spettacoli importanti del passato.
Nessuno ha preso un soldo, nemmeno bucato. Senza tutto questo, cosa sarebbe stato Santarcangelo 08? Probabilmente una vetrina boicottata un po’ da tutti o forse un semplice contenitore, come ce ne sono tanti, sparsi in Italia. Anzi, diciamo pure, come sono tutti i festival, NESSUNO escluso. Potere senza Potere 2008 ha provato a svincolarsi dalle solite logiche di festival, ha cercato di creare un “luogo”, denso di per sé, e stimolatore di rigenerazioni e relazioni. Potere senza Potere è stato un vuoto, un buco con la vita intorno. È stato un “centro”, una “concretissima utopia”, circondata da satelliti che hanno aperto piccoli forellini nel muro, spiragli di suono e di luce per ascoltarsi e guardarsi, senza NESSUNA ricaduta politica, almeno sul brevissimo periodo. Perchè in sostanza, di questo si tratta: non ne possiamo più di “buone intenzioni” che lastricano la strada dell’inferno. Non ci interessa più il pacchettino ben organizzato, ci siamo rotti le scatole dei tanti festivalini con spettacoli più o meno interessanti: laddove c’è (pseudo)ordine, programmi, cartelloni e caste di varia natura è evidente che siamo sulla strada di una stasi mortifera. Basta dunque con i direttori artistici calati dall’alto, con la “distrazione querula, informata e sorda” e con i budelli della politica che digeriscono poche e misere idee e le trasformano in quel che sappiamo. Anche dei convegni e delle “buone pratiche” non ne possiamo più, il tempo non è poi così tanto e non abbiamo nessuna intenzione di perderlo in auto-legittimazioni e auto-celebrazioni.
Anche noi ci stiamo auto-legittimando ma con la coscienza di una crisi: il nostro fogliaccio riciclato e la nostra radio di piazza sono stati una “pessima pratica” (in perdita, sfiancante, non replicabile, non vendibile), ma siamo convinti sia stata “un’ottima azione”. Non siamo certo degli illusi, e ci portiamo il nostro disincanto sul domani e su quello che ci aspetta. La notte è profondamente nera, ma lo sarà sempre di più fin tanto si continuerà a far finta di niente. L’efficacia delle nostre azioni è probabilmente “quasi” nulla se riferita ai poteri e alle famiglie, ma è fondamentale se riferita a noi stessi e alle relazioni che riusciamo a instaurare. Vale a dire se rivolgiamo le nostre azioni al recupero – certo incompleto, certo perdente, certo sempre insufficiente – di un po’ di “dignità” rispetto al “come” stare nel mondo e nell’oggi.
Noi vogliamo che circoli aria, vogliamo che si respiri, vogliamo altri ponti, anche se non sappiamo cosa accadrà di questo Potere senza Potere. E di questi ponti non è dato sapere a noi, che calpestiamo con certezza solo il nostro metroquadro di terra, che conosciamo a memoria il legno della nostra panchina, ma che pure pensiamo sia nostra precisa responsabilità cominciare a salire, cercare altri orti, anche un poco fermarsi al fianco degli altri che aspettano. Ma soprattutto non stare seduti e comparire e scomparire in altri luoghi, in altri incroci, guardandole in faccia le strade da prendere, senza sconti.