Un testo pulviscolare che risponde a tre domande: cosa è stato, perchè hai aderito, quali gli obiettivi di Potere senza potere. Abbiamo intercettato alcune persone che hanno promosso, aderito, attraversato in varie forme Potere senza potere e abbiamo rivolto loro alcune domande
Questa esperienza forse è una fra quelle, maturate recentemente, che mi ha restituito la sensazione più spiccata di libertà: al di là di ogni programma, quello che rimane sono le relazioni spontanee nate in questi giorni. Credo sia stato veramente possibile cogliere, anche tra i coordinatori e gli organizzatori, un senso dell’inatteso e dello stupore. E lo stupore più grande è che siamo stati capaci di creare tra di noi l’utopia concreta. Credo anche che l’artista (o l’operatore dentro l’arte) sia l’unico che attraverso una perenne insoddisfazione rilanci continuamente il programma e lo interiorizzi avvicinandolo a quello che è l’idea platonica di progetto. Questa è una residenza: lo stare, il condividere un luogo comune, con un’utopia concreta di comunità insieme ad altri, e insieme tendere a realizzare quello scambio tra forze immaginative che dovrebbe essere una stagione, un festival, l’elaborazione artistica, sempre. Gli artisti hanno una portata teorica e pratica interconnesse che è veramente un’indicazione da ascoltare. Chiara Lagani
Non ho preso parte fin dall’inizio al progetto, per cui sono un po’ esterna a tutto il dibattito che è nato. Trovo però che Potere senza potere sia una spinta chiara, un modo di rilanciare indietro una palla che è stata scagliata con violenza, un’azione a cui occorreva una reazione decisa. Abbiamo aderito all’iniziativa attraverso un moto spontaneo perché abbiamo sentito che occorreva non restare passivi. Sicuramente il primo forte segno è quello del rapporto con le persone: spesso si ha l’impressione di relazionarsi con qualcuno senza volto. Invece Potere senza potere ha dato un’altra sfumatura nel modo possibile di gestire i rapporti. E questo rende il festival effervescente, sempre fertile, come un lievito che fa crescere le cose. Teodora Castellucci
La mia adesione non è stata così diretta, non nel vivo. Eppure era necessario, come per il laboratorio rivolto ai bambini, iniziare un confronto che istigasse un itinerario di lettura delle forme. Bisogna partire da lì, da questa possibilità di avere più sguardi, più spettatori da diversi punti. La radio, per esempio, è in una posizione ottima; da quel crocicchio genera tensione e si impone nella confusione. Se il gesto riesce ad armonizzarsi nel contesto, allora può succedere qualcosa, si crea una dinamica artistica. Questo è ridestare un pensiero: forse le riflessioni, anche le domande qui poste, non hanno più presa, si ripiegano in sé. Sarebbe opportuno invece spostare il pensiero altrove, dove c’è un effettiva urgenza del dire, sollevare un problema estetico che diventi politico attraverso la critica: quest’ultima infatti raccoglie le letture che gli artisti non possono dare; anche gli infanti per esempio si rifiutano di comprendere attraverso la logica: utilizzano il corpo e i sensi. Si deve allora capire qual è la temperatura di quel pensiero che scema qui in Italia, nei festival, cosa c’è al di là della tecnica, dell’organizzazione. Ma non si deve partire da una valutazione politica: dobbiamo interrogarci invece quale sia l’atto estetico che genera stupore e allora, proprio lì, si troverà anche un vero atto politico. Chiara Guidi
L’essere qui, in questa piazza, è un simbolo di Potere senza Potere. Apre uno squarcio positivo, la possibilità di una rete di rapporti non precostituiti, una rete fuori da ogni gerarchia di potere. La dimostrazione di questa possibilità e della grande generosità degli artisti che hanno aderito al coordinamento è stata la loro capacità di riempire gli spazi vuoti con contributi rilevanti come i Rilasci Lenti. Quest’edizione anomala, partita male perchè senza testa, si è trasformata in qualcosa di “più orizzontale” del solito. La responsabilità di autorganizzarsi e la conseguente possibilità di raggiungere ottimi risultati è un obiettivo che mi auspico anche per il futuro e per le prossime edizioni. Avere una responsabilità, oggi, è una condizione imprescindibile per capire cosa si sta facendo. Motus
Direi che Potere Senza Potere si è sviluppato in due stadi, forse tre, se si calcola la partenza, cioè da quando abbiamo saputo che questo festival non avrebbe avuto una direzione artistica. All’inizio c’è stato sgomento, poi molto entusiasmo. Ho avuto la stessa sensazione di quando si entrava in alcuni spazi abbandonati e li si occupava: in quel marasma dovevi avere una grande capacità di proiezione per riuscire a immaginare la trasformazione che stavi compiendo. La seconda fase è stata l’incazzatura, anche causata da una confusione iniziale: il festival era una casa vuota e chiunque, in modo più o meno trasparente, poteva entrare a far parte di questo progetto. Poi la situazione si è sbloccata, tutto è ricominciato a fluire ed è andata bene: dalla serata del 13 in avanti. Dopo questo festival chissà che succederà. Potere Senza Potere è una verifica, non andrebbe persa. In questo momento oscuro che sta passando il nostro Paese credo sia importante vedere come le persone in certi momenti riescano a tirar fuori un forte sentimentalismo, nel senso alto del termine. Quell’idealismo che si tiene nascosto nel cassetto per paura di farsi male. Quello che sarebbe necessario in seguito è tener alta la tensione, ma bisogna darsi i mezzi per farlo, e questo è ancora da vedere. Pietro Babina
Potere senza potere è diventato qualcosa di molto diverso da ciò che era anche solo 10 giorni fa. Oggi posso dire che è diventato quello che il festival di Santarcangelo, di fatto, è sempre stato: un miracolo. Lo puoi anche chiamare utopia, ma è quello che dovrebbe essere il modo di operare di tutti noi appassionati. Un miracolo non può morire. Potere senza Potere ha rifondato le basi perché il miracolo potesse ancora esistere. Qui a Santarcangelo si respirava sempre un’atmosfera di ebrezza e condivisione, poi però la fame di carriera, i piccoli orticelli mal coltivati, hanno iniziato a riempirsi di cancelli e recinti. Ma la sensazione (che io provo e penso la provino tutte le persone in viaggio dalla propria casa verso Santarcangelo) è rimasta, ed è questo tipo di ebrezza e di condivisione che attira, che diverte, che è necessaria e sviluppa il pensiero. È come prendersi uno spazio di vita, ed è questa l’atmosfera di cui ci siamo riappropriati con Potere senza Potere. L’abbiamo vissuta fino in fondo, vi siamo di nuovo sprofondati liberamente. Ma non è stata solo nostra. Io credo che anche tutto lo staff abbia vissuto tantissimo Potere senza Potere. Di questa esperienza bisogna mantenere la meraviglia e la consapevolezza che queste cose si possono fare anche insieme. Più che di una continuazione parlerei di alcune consegne, che dopo Santarcangelo portiamo con noi. Fiorenza Menni
Potere senza potere è stata una pratica di interrogazione profonda sul senso di un festival, sul senso di una pratica creativa, sul delicato rapporto con le strutture di sostegno ad essa dedicate. Potere senza potere ha messo in evidenza come questo tempo di riflessione normalmente non sia una cosa così scontata, mentre dovrebbe essere strutturale, e presente sempre, a livello individuale e collettivo, come forma di collaborazione e come modalità per spostare l’attenzione da un fare istituzionale a un fare più profondo, attento alla dimensione umana e creativa. Sugli obiettivi, risponderei con una citazione della Bhagavad Gita: “ Tu sei competente ad agire, ma non a godere del frutto dei tuoi atti. Non prendere mai come movente il frutto della tua azione. Chi pratica il metodo della vigilanza si disinteressa di questi due, successo e insuccessso. Così raccogli le tue energie e applicati a quest’altra disciplina, questa disciplina che consiste nell’abile padronanza del campo dell’azione. Francesca Proia