Che cosa vuol dire la parola festival?
Come è pigro e - come tutte le pigrizie - consolatorio sentirci dentro, al fèstival, solo la festa! Niente di sbagliato, la sentiamo perché c'è: la parola deriva dal latino festivus, piacevole, festivo. Lo scrittore Paolo Monelli puntualizzava: «Talora festival ha significato semplicemente un più grande baraccone fra le baracche carnevalesche che sorgono in un sobborgo cittadino, con banchi di vendita, pesche di fortuna, lotterie e simili, il tutto sommerso in un frastuono di bande musicali». Sempre Monelli spiegava che nell'intitolazione di un certo «festival musicale» si era sbagliato tre volte: «usando una parola straniera senza necessità, togliendola dal suo regno popolaresco e dandole un carattere di raffinatezza che non ha mai avuto, e infine aggiungendo il superfluo aggettivo "musicale", poiché festival significa già di per sé "festa musicale"». Era il 1933. Oggi il carnevale è tutti i giorni, e quindi tutti i giorni basta prendere il baraccone più grande e chiamarlo festival, e il più è fatto, non c'è bisogno di organizzare più niente. Il festival si organizza da solo.
Tutto questo basterebbe se non fosse che ci sono persone che, per dare prestigio alla loro pronuncia, non dicono fèstival ma festivàl. Ora la festa non ce la sentiamo più, e caso mai ci sentiamo lo stivàl, l'iconografia solita dell'Italia, un piede buttato nella pozzanghera del Mediterraneo, calzato per le incombenze della guerra, o più probabilmente, della pesca. Il festivàl è infatti anfibio, va per terra e mare, cammina su qualsiasi suolo: giochi e musica, ma anche filosofia, poesia, letteratura, scienza, economia, storia e, certamente, teatro. In ogni settore è possibile trovare l'assortimento di varietà del quale si possono compiacere le papille gustative di ogni pubblico. Non ti va la meccanica quantistica? Sotto il tendone sta per cominciare la tavola rotonda sull'anatomopatologia! Dopo l'aperitivo-Musil segue la cena-evento Petrarca e, dalle dieci, gli eventi della notte bianca-Noir! Sono aperte le iscrizioni, fate la colazione con un medievista!
Tra lo sdrucciolo fèstival e il tronco festivàl resta la terza via, sinora inesplorata, del festìval, dove non si sente più la festa o lo stivale, ma la stiva. Una stiva estiva, dove accumulare bagagli, derrate, cianfrusaglie e viaggiatori clandestini; un disperante indice analitico, in cui si assommano senza neppure l'ordine dell'alfabeto gli articoli prodotti lungo tutto l'anno, le collezioni autunno-inverno e primavera-estate appena passate, le promesse per il futuro, i pensieri fissi che non vogliono morire.
Nessuno sa cosa ci ricorderemo, di quel cumulo di merci in esubero che ingombra le strade di ogni festival. E' già tanto ricordarsi dove mettiamo di solito l'accento.
Stefano Bartezzaghi
enigmista, scrittore ed editorialista di Repubblica