Il teatro è rito. In cosa cambia il rituale contemporaneo?
Non so rispondere con esattezza a questa domanda, dovrei essere uno studioso per farlo, ma non lo sono.
Sono tuttavia affascinato da ciò che questa domanda mi ha portato alla mente. Un ricordo di quando ero bambino. Un’immagine personale che ho subito da spettatore circa quindici anni fa, nel mio paese d’origine, Monte Sant’Angelo.
Vorrei che la descrizione di questa immagine, di questo ricordo sia la risposta alla domanda che prima ho letto.
Ero davanti al Santuario di San Michele Arcangelo con mio zio Luca, non ricordo il perché, credo di esserci capitato senza motivo.
Avevo lo sguardo rivolto verso l’ingresso del Santuario ed ero fortemente impressionato dalla fiumana di gente che varcava quella soglia, gente devota al Santo, gente che si genufletteva, gente del posto e stranieri, gente silenziosa, gente che non soffriva il fatto di stare in fila, gente.
La visione di quel posto e di quelle persone era ipnotizzante. Rimasi in uno stato contemplativo per un po’.
Ad un certo punto tra questa gente, che per me fino a quel momento era un unico corpo, un’unica entità fisica, saldata assieme dall’attesa e dal movimento lentissimo che l’ingresso in quel luogo sacro imponeva, si aprì un varco ingiustificato, fatto di spazio libero, fatto di un pericoloso spazio libero.
In questo vuoto, ricco di una ingiustificata assenza, comparve un corpo femminile tenuto stretto da due uomini. C’era una tale disparità fisica tra la donna e gli uomini che non riuscii a capire perché due uomini cosi grandi, così ingiustificatamente grandi dovessero tenere stretta una donna cosi esile. Perché? Forse era una donna che non si teneva in piedi? E poi perché invece di tenerla su e basta la tenevano stretta, quasi immobilizzandola?
Non riuscivo a capire e la curiosità mi portò ad avvicinarmi a quelle persone.
La risposta alla mia domanda e alla mia curiosità me la diede la donna stessa.
L’ingresso al santuario col suo pavimento in marmo bianco che rifletteva la luce di un sole ormai altissimo sulle nostre teste, divenne la scena di un episodio direi strano.
La donna iniziò a dimenarsi. Si dimenava talmente tanto da rendere imbarazzanti le gigantesche figure che cercavano di tenerla inutilmente. Si dimenava urlando a tratti. Alternava pieni momenti fisici fatti di strattoni e inarcamenti dell’intero corpo, a rese e rilasci arricchiti da bestemmie e ingiurie in dialetto stretto. Ogni tanto sputava e cercava di alzarsi la gonna.
La scena durò qualche minuto fin quando le due figure mascoline non riuscirono a calmarla e a farla scomparire all’interno del Santuario, passando nel largo che la gente creava.
La fila di gente, fedele a ciò che di solito non si vede, iniziò a fare suono, a emettere parola e caos, a muoversi disordinatamente, fin quando una guardia, forse un volontario, uscendo da una porta che non mi ero accorto ci fosse, disse “Silenzio! Questo è un luogo sacro!”
Tornò il silenzio e la normalità della fede.
Mio zio mi impedì di andare a vedere cosa sarebbe successo nel Santuario, credo comunque un esorcismo o qualcosa di simile.
La mia immaginazione mi portò a sognare la notte stessa il prete che cavalcava quel corpo esile nell’intento di domarlo e riportarlo tra le pecore buone…
Non credo sia andata così.
Credo che il teatro sia rito nel momento in cui il teatro e il pubblico sono coscienti l’uno dell’altro.
Credo che il teatro sia rito nel momento in cui il teatro accoglie un pubblico rischioso.
Credo che il teatro sia rito nel momento in cui il teatro accoglie un pubblico che vuole rischiare.
Credo che il teatro sia rito nel momento in cui il pubblico è in grado di sputare in faccia al teatro.
Credo che il teatro sia rito nel momento in cui il pubblico è in grado di fottersene del parere di alcuni, di quelli che dicono di sapere.
Credo che il teatro sia rito nel momento in cui il pubblico ha orecchie da asino.
Credo che il teatro sia rito nel momento in cui il teatro è asino.
Credo che il teatro sia rito nel momento in cui il pubblico è parte fondamentale del teatro e non il contrario.
Credo che il teatro sia rito nel momento in cui il pubblico è libero.
Credo che il teatro sia rito nel momento in cui il teatro è libero.Credo che il teatro sia rito contemporaneo nel momento in cui non c’è bisogno di dirlo ad un megafono
Antonio Rinaldi
Performer e macchinista